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Matteo Cruccu per “Corriere.it”
Un anziano signore dimesso, lo sguardo vacuo e inespressivo di chi ha poco da chiedere ancora alla vita. Se solo ci si soffermasse su quest’istantanea, sarebbe impossibile riconoscere in quel recluso per omicidio colui che è stato definito uno dei più grandi produttori musicali di tutti i tempi.
CONDANNATO A 19 ANNI
Già, è la foto segnaletica più recente di Phil Spector, il genio del “wall of sound”, deus ex machina degli ultimi Beatles di «Let It be», icona pluricelebrata dal soul e dal pop per almeno due decenni: ebbene, dal 2009 è chiuso in una cella della California per l’omicidio dell’attrice Lana Clarkson nel 2003 per cui è stato condannato a diciannove anni di carcere.
Spector si è sempre definito innocente, sostenendo che la donna si fosse uccisa sparandosi in bocca perché depressa per una carriera mai sbocciata, ma invano. Mai abbandonato dalla terza moglie Rachelle e dalla figlia Nicole che testimoniano del suo peggioramento fisico e psichico (pare abbia il Parkinson), Spector, negli ultimi tempi, si era fatto notare perlopiù per le acconciature quanto meno bizzarre sfoggiate nelle varie tappe del processo.
UN LUNGO DECLINO
Quel che più impressiona infatti è che, nei tributi, nei film, nei libri, il personaggio viene celebrato spessissimo come se fosse già passato a miglior vita. Già, l’ultimo suo lavoro degno di questo nome risale al 1980, «End of the Century» per i Ramones, poi se si eccettuano un disco per Yoko Ono e uno per gli Starsailors, nient’altro. Insomma un classico romanzo del rock dunque per Phil, oggi 74enne, con l’immancabile ascesa e l’immancabile declino.
Certo sempre si è fatto distinguere l’indole eccentrica e l’amore per le pistole (leggenda narra si fosse presentato da Lennon con un arma in mano), l’umore altalenante e le furibonde litigate. Poi però c’è il lascito artistico, le orchestrazioni corpose, dense, che diedero spina dorsale e , al contempo aria, a tante produzioni, un lascito fondamentale per l’evoluzione del rock moderno.
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