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S.P. per la Repubblica
«Per anni, ho disegnato fumetti per sopravvivere al dolore che avevo dentro», racconta Dario Triolo, il figlio del vice pretore onorario ucciso da Riina e Provenzano a Corleone il 26 gennaio 1978. «Adesso che è morto l' assassino di mio padre non provo nessuna emozione. Né odio, né vendetta. Piuttosto mi sono emozionato quando è stato arrestato Provenzano ».
Esattamente un anno dopo, Riina ordinò di uccidere Mario Francese, coraggioso cronista del Giornale di Sicilia. Solo una coincidenza?
«Francese fu il primo ad arrivare a Corleone la sera dell' omicidio, scrisse che a poca distanza si trovava la casa di Riina, all' epoca già latitante».
Il delitto di suo padre quasi nessuno lo ricorda, fu il primo atto della strategia dei Corleonesi contro le istituzioni.
«Il vice pretore onorario Ugo Triolo era il simbolo della giustizia a Corleone. Negli ultimi tempi era preoccupato, ma continuava il suo lavoro con dedizione ».
Le confidò qualcosa?
«Un mese prima, io e mia sorella eravamo con lui in auto, nel traffico di Palermo. All' improvviso, una moto con due giovani ci venne incontro, lo vedemmo terrorizzato».
Per tanti anni Corleone ha dimenticato Ugo Triolo.
«Nel 2001, l' allora sindaco Pippo Cipriani chiese alla magistratura di riaprire il caso. Quest' anno, a 40 anni dal delitto, Comune e Prefettura stanno organizzando una serie di iniziative per ricordare un uomo che ha dato tanto a questa nostra terra. Lui e Mario Francese avevano già capito chi era Totò Riina, per questo furono uccisi ».
2. SANGUINARIO E ANCHE TRADITORE PER QUESTO GLI VOLTAI LE SPALLE
Francesco Viviano per la Repubblica
«Io sono stato un amico di Totò Riina, ero il suo autista e per suo conto ho compiuto una serie di omicidi (22, ndr). Per un periodo gli ho voluto anche bene, ma poi ho scoperto che era sanguinario, cattivo ed anche un traditore, perché aveva fatto arrestare Luciano Liggio, il suo capo, e voleva uccidere anche me. Per questo ho deciso di pentirmi e di accusarlo, faccia a faccia, prima di tutto nel maxi processo».
Gaspare Mutolo, adesso ottantenne, e collaboratore di giustizia da un ventennio: chi era il vero Riina?
«Era una persona che voleva apparire umile ed amichevole, invece era una belva, e anche uno spione. Lo conobbi nel 1965: ero stato assegnato a lui come uomo di fiducia perché era latitante. Allora lo ammiravo, perché anch' io ero un mafioso e ragionavo come lui».
E poi che cosa accadde?
«A quel tempo c' era un triumvirato che governava Cosa nostra: Stefano Bontate, Luciano Liggio e Gaetano Badalamenti. Quando Badalamenti fu eletto Capo dei capi, lui andò su tutte le furie. Si era messo in testa che doveva comandare lui e allora cominciò a fare "tragedie" dentro l' organizzazione. Fu lui, con le sue confidenze, a far arrestare Liggio ».
Ma fino all' altro ieri, fino a quando non è morto, Riina, dopo 24 anni di carcere era ancora il capo di Cosa nostra?
«Sì, fino all' altro ieri è stato il capo di Cosa nostra. D' altra parte, lui era convinto che sarebbe uscito dal carcere. Non pensava che sarebbe morto da detenuto, perché diceva di avere avuto delle rassicurazioni».
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