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1. IL CASO PIOMBINO E L’ASSOLUZIONE DELL’INFERMIERA, LA RABBIA DEI PARENTI: “SE NON È STATA LEI DITECI CHI HA UCCISO I NOSTRI CARI”
Grazia Longo per “La Stampa”
Lei, Fausta Bonino, 58 anni, tristemente nota come «l'infermiera killer di Piombino» ancora esulta per la completa assoluzione, l'altro ieri al processo d'appello, dopo la condanna all'ergastolo in primo grado per la morte di quattro pazienti (l'accusa era di dieci omicidi) uccisi con massicce iniezioni di eparina.
«Finalmente i giudici mi hanno creduto - afferma -. Non ho mai ucciso nessuno. Al primo processo sono stata vittima di un clamoroso errore giudiziario». I parenti delle vittime gridano invece allo «scandalo», parlano di una sentenza «vergognosa» e chiedono che «vengano al più presto riaperte le indagini». Dieci morti sospette sono avvenute nel reparto di rianimazione dell'ospedale Villamarina di Piombino, in provincia di Livorno, dove l'infermiera lavorava, tra il settembre del 2014 e il settembre del 2015. Bonino è stata prosciolta «per non aver commesso il fatto».
È stata invece dichiarata sospesa la condanna a un anno e mezzo per la ricettazione di alcuni medicinali trovati nella sua abitazione durante la perquisizione effettuata al momento dell'arresto. Monica Peccianti, 55 anni, contabile, ricorda ancora con amarezza quando suo padre Francesco morì a 77 anni, nel 2014, dopo essere stato trasferito in Terapia intensiva per una polmonite: «Quando scoprimmo che gli avevano iniettato l'eparina fu uno choc. Le indagini dei carabinieri del Nas e della procura portarono a incolpare Fausta Bonino. Questa sentenza di assoluzione è vergognosa. Sono attonita, esterrefatta, arrabbiata. Non riesco a capire come sia stato possibile passare dall'ergastolo a scagionarla definitivamente».
Per Monica Peccianti, inoltre, ora si pone un'altra questione: «Se non è stata lei, che comunque secondo i Nas era presente in reparto nei turni in cui venne somministrata l'eparina in eccesso, allora chi è stato? A questo punto dovrebbero riaprire le indagini perché vuol dire che c'è un assassino in giro. In ogni caso, meno male che c'è ancora la Cassazione, anche se avere fiducia nella giustizia adesso è più difficile». Decisamente sfiduciato è Francesco Valli, 69 anni, figlio di Marcella Ferri che perse la vita a 84 anni nel 2015: «Come si fa a credere nella giustizia? Il verdetto di assoluzione è uno scandalo che mi fa ribrezzo. Mi scusi la parola forte, ma per me è proprio uno schifo. Non mi stancherò di ripeterlo. I giudici non hanno tenuto conto di testimonianze importanti come la mia».
Francesco Valli sostiene (e lo ha ribadito anche in aula durante il processo) di aver visto Fausta Bonino mentre praticava una puntura alla madre senza però annotarla nella sua cartella clinica. «Lei nega di aver fatto quella iniezione, ma io l'ho vista con i miei occhi e secondo me in quel momento le stava dando l'eparina. Ma non mi hanno creduto». Più moderata, invece, è la reazione di Luigi Coppola, attuale vicesindaco di Piombino, il cui zio paterno Luigi morì a 82 anni nel 2015: «Resta il dolore e lo sconforto per la sua scomparsa improvvisa, tre ore prima di spirare era vigile e poi all'improvviso se n'è andato.
Ma questo processo, come molti altri, è alquanto complesso. Ci sono precedenti di sentenze discordanti tra un grado di giudizio e l'altro, del resto ne abbiamo tre proprio per valutare bene i casi. Un problema tuttavia si pone: chi è il colpevole? Di sicuro il nostro territorio ha bisogno di maggiore sicurezza sul fronte della sanità».
«MIA MOGLIE UN MOSTRO? NO, E L'HO SEMPRE SAPUTO»
Le morti di Piombino e l'infermiera assolta dopo sei anni (e un ergastolo)
Cristiana Mangani per "il Messaggero"
Dall'ergastolo all'assoluzione: la Corte d'appello di Firenze ha ribaltato la sentenza con cui il tribunale di Livorno aveva condannato Fausta Bonino, l'infermiera dell'ospedale di Piombino accusata dalla procura di aver causato la morte di almeno quattro degenti tramite somministrazioni di eparina. Il giorno dopo la lettura del verdetto nella casa di famiglia si respira aria di festa. Sul pianerottolo, appeso a un muro, c'è un quadretto ricamato con il punto a croce sul quale si legge: «Nella mia casa sono benvenuti il sole, gli animali e gli amici».
E di amici, Fausta Bonino e il marito Renato Di Biagio, sembra che ne abbiano avuti sempre tanti, anche nei momenti più bui, anche quando una condanna in primo grado all'ergastolo aveva fatto precipitare tutti nella disperazione.
OSPEDALE PIOMBINO FAUSTA BONINO
Signor Di Biagio, vi aspettavate una sentenza di assoluzione?
«Dopo 20 giorni di carcere, come quelli passati da mia moglie, gli interrogatori, le indagini, una condanna all'ergastolo, non sapevamo più cosa pensare».
E quando il presidente ha letto la sentenza come avete reagito?
«Mia moglie mi ha guardato, non ha capito subito cosa volessero dire quelle parole. Poi è scattato l'entusiasmo, gli abbracci, l'emozione. Nonostante tutto ci abbiamo sempre sperato, perché quando sai di essere completamente estraneo a quello che ti contestano, sei certo che la verità, alla fine, verrà fuori».
Cosa sono stati per voi questi anni?
«Ci siamo ritrovati improvvisamente messi alla gogna, Fausta veniva trattata come un mostro. Immagini cosa può voler dire finire in un gorgo come questo per una persona che è innocente. È un incubo che sembrava non finire più».
Quando sua moglie è stata arrestata cosa è successo nella vostra vita?
«Chi ci conosceva sapeva benissimo che persone fossimo. In questi anni abbiamo avuto solo manifestazioni di affetto, tanta solidarietà da parte di tutti. Certo, poi c'erano gli haters, i leoni da tastiera, quelli che hanno continuato a dire cose velenose sul web. Ma Fausta non ha mai voluto frequentare i social, e io, sapendo quale fosse la verità, non ho badato alle cattiverie. Non mi importava proprio».
fausta bonino l infermiera di piombino
Ha mai, anche per un attimo, dubitato di sua moglie?
«Assolutamente mai. Stiamo insieme da quasi quarant' anni, nessuno la conosce meglio di me. Non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere, lei le persone le ha salvate, le ha curate, non so veramente come si sia potuto pensare che fosse un'assassina. Certo, fino a l'altro giorno, non ci sentivamo comunque tranquilli: c'era una sentenza che doveva essere emessa».
Cosa vi preoccupava?
«Non potevamo sapere cosa sarebbe successo nel processo. Mia moglie è sempre stata innocente, eppure si è ritrovata in carcere e poi condannata in primo grado all'ergastolo. Hanno detto inizialmente che aveva agito senza rendersene conto, subito dopo che era una criminale fredda e spietata. Con queste premesse si poteva arrivare ovunque. Sono stati anni molto pesanti. Abbiamo speso tutto, sia economicamente che emotivamente, ci hanno distrutto la vita e adesso dovremo ricominciare leccandoci le ferite dopo quello che abbiamo sofferto».
Vi rivarrete sullo Stato per il periodo di detenzione?
«Innanzitutto dobbiamo aspettare le motivazioni, e poi un eventuale processo in Cassazione. In ogni caso non esiste un risarcimento civile per quello che ci è stato fatto, e cosa potremmo avere mai dallo Stato in termini economici, cento euro al giorno? A noi, ora, importa solo che l'incubo sia finito».
Chi ha sbagliato in questa storia?
«Non è il primo caso di errore giudiziario. Non sta a me definire le colpe. Spesso ci si innamora delle tesi e le si persegue a tutti i costi».
Restano quelle morti senza un colpevole.
«Noi non sappiamo cosa sia successo in ospedale in quegli anni, io so soltanto che Fausta è innocente. E ora sta alla magistratura scoprire le cause».
Adesso cosa farete?
«Ci godremo questo momento e, finalmente, ci rilasseremo».
Mentre Renato parla si sente in lontananza un chiacchiericcio, voci finalmente allegre di familiari e amici. Signor Renato che ha detto vostro figlio medico alla mamma dopo la sentenza?
«Le ha detto: Ero certo, mamma, che sarebbe andata così. E l'ha abbracciata».
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