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Estratto dell’articolo di Anna Campaniello per il “Corriere della Sera”
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«Il sequestro e l’omicidio di Cristina Mazzotti sono fatti drammatici che hanno sconvolto l’opinione pubblica e distrutto una famiglia. Sono trascorsi quasi 50 anni, ma il tempo non ha cancellato la gravità di quanto accaduto e siamo qui perché c’è stata una nuova indagine».
Cecilia Vassena, magistrato della Direzione distrettuale antimafia di Milano, rappresenta l’accusa nel nuovo processo di primo grado che si è aperto ieri in Corte d’assise a Como, per il sequestro e l’omicidio di Cristina Mazzotti, rapita la sera del primo luglio 1975 mentre tornava a casa, con il fidanzato e gli amici, nella villa di famiglia a Eupilio, in provincia di Como. Cristina aveva 18 anni. Due mesi dopo il rapimento il suo corpo senza vita è stato ritrovato in una discarica in provincia di Novara.
Segregata in una buca lunga 2,5 metri e larga meno di 2, con un piccolo tubo di plastica per farle arrivare l’aria, Cristina è stata sedata con massicce dosi di tranquillanti e altri farmaci e ha ricevuto una minima quantità di cibo. Una condizione alla quale non è sopravvissuta. La 18enne non è più tornata dalla sua famiglia nonostante il padre Helios, imprenditore nel settore dei cereali, avesse pagato un riscatto di un miliardo e 50 milioni delle vecchie lire ai sequestratori. L’uomo, un anno dopo, morirà per un infarto.
Per il sequestro e l’omicidio, in un processo a Novara, sono già state condannate 13 persone. All’appello mancano però gli ideatori ed esecutori materiali del rapimento.
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[…] Nel 2015 una sentenza della Cassazione ha stabilito che non può essere prescritto il reato di omicidio volontario. Un esposto riproposto da Fabio Repici, avvocato dei Mazzotti, ha permesso la svolta sfociata nel processo avviato ieri a Como.
Sono quattro gli imputati, tutti legati alla ’ndrangheta calabrese. Sono accusati di sequestro di persona a scopo di estorsione e omicidio, in concorso, aggravato dalla crudeltà, dai motivi abbietti, dalla minorata difesa della vittima.
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Due ieri erano in aula: Giuseppe Calabrò, 74 anni, ritenuto uno degli ideatori del rapimento, e Antonio Talia, 73 anni, accusato di essere tra gli esecutori materiali del rapimento. Assenti gli altri due imputati, il boss 80enne Giuseppe Morabito e Demetrio Latella, 70 anni, che ha confessato di aver partecipato al sequestro.
[…] La prossima udienza il 16 ottobre.
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