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AVEVA RAGIONE CAVOUR: “IL GIOCO E’ LA TASSA SUGLI STUPIDI” - GLI ITALIANI HANNO SPUTTANATO 475 MILIARDI DI EURO IN TRE ANNI NEL GIOCO D’AZZARDO – E DAL 2004 SONO ANDATI IN FUMO, UDITE UDITE!, BEN 1.774 MILIARDI DI EURO (PIU’ DELLA META’ DEL DEBITO PUBBLICO NAZIONALE) – SONO 18 MILIONI GLI ITALIANI CHE, NEL 2024, HANNO OSATO L’AZZARDO ALMENO UNA VOLTA E CI SONO 1,5 MILIONI DI LUDOPATICI - EPPURE LA POLITICA NON FIATA: QUEI SOLDI SONO UNA MANNA PER L’ERARIO - IL SILENZIO SULLE SCOMMESSE, UN GIRO CHE COINVOLGE 147 CLAN DELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA

Estratto dell’articolo di Gian Antonio Stella per il “Corriere della Sera"
Ma vale la pena? Ricorda il dossier Azzardomafie di Libera, appena uscito, che dal 2004 al 2024 gli italiani, incoraggiati dallo stato, si sono giocati sull’azzardo 1.774 miliardi di euro. Molto più della metà dell’intero debito pubblico. Una spropositata montagna di denaro che nel 2025, dice la stima di Maurizio Fiasco, l’economista e sociologo onorato da Sergio Mattarella per il suo impegno contro il gambling e le dipendenze, salirà di altri 170 miliardi. Per un totale di 475 miliardi solo nell’ultimo triennio. Un incubo.
[…] C’è chi dirà: la grande maggioranza dei soldi torna indietro come vincite. Ovvio: sennò chi giocherebbe? Resta il nodo che nel solo 2024, dati ufficiali, almeno 18 milioni di italiani (18 milioni!) hanno «buttato» nel buco nero di scommesse, slot, gratta e vinci eccetera 22 miliardi e 500 milioni. Quasi una Finanziaria: 11 finiti ai concessionari e 11,5 all’Erario.
Mica male per le pubbliche casse, diranno i cinici, certi che avesse ragione Cavour quando diceva che «il gioco è la tassa sugli stupidi». Ma non è così: al di là di ogni questione morale e del fatto che quei 22 miliardi e mezzo, spesi in vestiti, cibo, scarpe, auto o libri avrebbero contribuito a far girare l’economia in modo più sano, il guaio è il crollo delle entrate rispetto all’enormità crescente della posta.
Nel 2006, dice una tabella dello stesso Fiasco su dati ufficiali, la quota che tratteneva lo Stato sul totale delle giocate, era del 19,06%. Un quinto. E prima era ancora di più. Ora è piombata a un misero 7,31: un quattordicesimo. Risultato: per incassare il suo malloppo lo Stato biscazziere è spinto a far scommettere gli italiani sempre di più, di più, di più!
In una spirale folle che ha visto il nostro Paese schizzare dai 4,861 miliardi di euro attuali «giocati» nel 1990 ai 157,583 del 2024 con un’impennata annua dell’8,76% immensamente superiore alla parallela (bassa) crescita del Pil. Un suicidio finanziario.
Sanitario, coi costi delle derive ludopatiche. Etico. Allora, vale la pena?
No, rispondeva Matteo Salvini in un comizio ancora on line: «A me piacerebbe un Paese che non campa sul gioco d’azzardo, sulle slot machine, sui videopoker! Rottamiamo le slot machine e i videopoker che rovinano milioni di persone! Uno stato che campa sul gioco d’azzardo è uno stato fallito».
No, tuonava furente Giorgia Meloni alla Camera (vedi YouTube) nel 2015: «Possiamo trattare il gioco d’azzardo come le sigarette? Possiamo vietare la pubblicità del gioco d’azzardo? Possiamo scrivere che le slot machine e il gioco d’azzardo producono miseria, povertà, droga, suicidio?».
Le famiglie, accusava, avevano «nel 2014 buttato 85 miliardi solo nel gioco legale». Giusto. Che ne pensi oggi, dopo il raddoppio di quei numeri nei suoi anni di governo, è ignoto. Non ne parla più. Mai. Come lei del resto, sul tema, dice l’archivio Ansa sono zitti tutti. Non solo Salvini e Tajani ma anche Renzi e Calenda e Conte e Bonelli e Fratoianni e la Schlein che pure avrebbero davanti una prateria per attaccare. Muti. Perché sanno che sul tema, per dirla in veneto, «i va tuti soti». Vanno tutti zoppi.
A partire da Quintino Sella che nel 1863 scrisse nella relazione al Re: «Il giuoco del Lotto non può considerarsi fonte d’entrata degna d’un popolo civile; ma le condizioni attuali del bilancio non consentono di sopprimerlo senza sostituire un equivalente». E andò così con Crispi e Giolitti e Mussolini (che volle la Lotteria di Tripoli) e giù giù fino a Prodi che raddoppiò l’antica estrazione settimanale del lotto («per dare soldi alla cultura») e Amato che varò il Bingo e Berlusconi che triplicò e quadruplicò le «settimanali» e la Meloni che ne fece di nuove per la Romagna alluvionata...
[…] Ma il punto resta: vale la pena, con un milione e mezzo di schiavi dell’azzardo che rovinano se stessi e le famiglie e chiedono aiuto a un sistema sanitario in crisi, di tirar su un po’ di miliardi in quel modo per non affrontare in modo serio il nodo finanziario? No, dicono don Luigi Ciotti e Libera. Tanto più che, come spiega la Dia, «le mafie […] considerano l’azzardo fonte primaria di guadagno verosimilmente superiore al traffico di stupefacenti, alle estorsioni e all’usura». […]
[…] sono «147 i clan censiti che operano in attività di business illegali e legali, con 25 Procure Antimafia coinvolte». E «al “tavolo verde” giocano e vincono le solite famiglie: Casalesi di Bidognetti, Mallardo, Santapaola, Condello, Mancuso, Labate, Lo Piccolo, Capriati...». Ancora la Dia: «La mafia continua a investire consistenti capitali attraverso la gestione diretta o indiretta di società concessionarie di giochi e di sale scommesse o mediante l’imposizione di slot machine». […] Con ripercussioni sull’usura che aggancia i più disperati. […]
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