israeliani presi in ostaggio da hamas

“HANNO PRESO MIO PADRE, NON SO SE MIA MADRE SIA ANCORA VIVA” - LE ULTIME CHIAMATE DEGLI ISRAELIANI PRESI IN OSTAGGIO DA HAMAS: SONO STATI PORTATI NELLA STRISCIA DI GAZA E DA QUESTO MOMENTO SONO CONSIDERATI MERCE DI SCAMBIO - FINO A OGGI ISRAELE HA CONTRATTATO PER LA LIBERAZIONE DI POCHI OSTAGGI, ORA SI PARLA DI PIÙ DI CINQUANTA PERSONE PRESE DAI TERRORISTI – NEL 2006 GILAD SHALIT VENNE TENUTO PRIGIONIERO PER CINQUE ANNI: ALLA FINE DOVETTERO SCARCERARE MILLE PALESTINESI PER AVERLO INDIETRO. ORA NON BASTEREBBE SVUOTARE LE PRIGIONI...

 

 

Estratto dell’articolo di Francesco Battistini per il “Corriere della Sera”

 

ragazzi presi in ostaggio da hamas durante il rave 2

«Sono entrati in casa!... Stanno provando a entrare!...». La voce è un soffio. Dice: «Mi chiamo Dorin…». O qualcosa del genere. Una donna. Nascosta in quel che resta di Nir Oz, il suo kibbutz sotto attacco, qualche chilometro da Gaza. Invisibile, nell’unico angolo sicuro che le è rimasto. Barricata, in un terrore che l’ha svegliata all’alba. Dorin ha sentito i colpi, dice piano piano, quasi insufflando all’intervistatore tv, ha aperto gli occhi e l’incubo era già lì intorno, ad aggirarsi per le stanze.

 

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La terra delle aiuole, fiorite nel Negev, era diventata di colpo la terra dello sciacallo. Fragole e sangue. Dorin è al telefono con Israel-N12, la mandano in diretta. Un sussurro, non di più, perché le belve possono sentirla: «Sono appena entrati, un’altra volta!…». Prova a dare qualche informazione utile su quei palestinesi armatissimi: «Sparano proiettili speciali, ho visto che ci sono molte case distrutte…». Si sentono altri botti. Il silenzio. In studio, è il gelo: Dorin, sei ancora in linea? «Sì…». Tutto bene? «Per favore, mandate un aiuto…».

 

Su Telegram

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Non ha molta batteria. E dopo qualche minuto, anche Dorin sparisce nel sabato nero d’Israele. Uno Shabbat senza Shalom, un altro Kippur e forse pure peggio. Nessuno sa se Dorin se l’è cavata. Si saprà qualche ora dopo che anche a Nir Oz hanno picchiato, ammazzato, trascinato le donne e i ragazzini su un pick-up. Gridando, esultando, pregando, sparando al cielo per ringraziare di questo miserabile bottino d’ostaggi: Allah-u akhbar, e ancora più grande è il terrore.

 

Gli account su Telegram sono i nuovi luoghi di rivendicazione, video e foto. Quanti ne hanno catturati? Israele non lo rivela: «Decine», ammette a metà pomeriggio Daniel Hagarg, portavoce dell’esercito, «ma non posso dare altre indicazioni, ci risultano ancora ventidue luoghi sotto attacco».

 

[...] Gira un numero: almeno cinquanta israeliani, soldati e civili, mamme e figli, anche qualche bracciante asiatico. [...] «Non chiamateli ostaggi», intima severo Khaled Qadouri, capataz del movimento islamico: «Sono prigionieri di guerra». E Saleh al-Arouri, altro boss: «Sì, prigionieri. Li useremo per fare uno scambio. Voi avete messo i nostri nelle carceri israeliane, noi ci siamo presi i vostri».

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Li han presi in mille modi. Per i capelli, bastonandoli, legandoli, spingendoli in colonna come innocenti agnelli destinati al macello. «Stanno sfondando il mio rifugio antimissile!», urla al cellulare Ella, sepolta nel bunker del kibbutz di Be’eri, collegata a una diretta tv web: «Sento molti colpi d’arma da fuoco. Ci han detto che i terroristi sono nella mensa. Sentiamo tantissimi spari. Ho perso i contatti con la mia famiglia. So che mio padre è stato rapito. Non so se mia mamma sia viva. Nessuno ci dice dove andare, che cosa fare…».

 

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[...] Israele in queste ore è sembrato un piccolo gigante disarmato. «Dov’era la nostra sicurezza? — si chiede costernato l’ex capo della Marina, Eli Maron —. Dov’era la nostra polizia? Questo è il fallimento dell’intelligence».

 

[...] Ma chi la salva tutta questa gente, adesso? C’è un protocollo speciale, per i catturati: finora, però, s’era sempre trattato di pochi ostaggi. E mai Hamas era riuscita a prendere così tanti civili. L’infinita guerra di Gaza cominciò con Gilad Shalit, nel 2006, e lì si torna. Decine di Gilad. Il soldato allora fu rapito quasi per caso e in mezzo alla strada. Hamas se lo tenne più di cinque anni. Gli israeliani invasero Gaza, provarono a liberarlo. I genitori del ragazzo piantarono una tenda, per mesi, davanti all’ufficio di Bibi Netanyahu.

 

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E un Paese intero si mobilitò raccogliendo soldi, attaccando sticker, lanciando appelli. Tutto inutile: alla fine, Israele riebbe Shalit, sì, ma solo in cambio di mille palestinesi scarcerati. Uno contro mille. Stavolta si dovrebbero svuotare tutte le prigioni. E forse non basterebbe.

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