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RINALDO FRIGNANI per il Corriere della Sera
«Quest' anno, caro Babbo Natale, vorrei una cosa, forse l'unica che mi manca: il suo amore». Simonetta Cesaroni lo scriveva due anni prima di morire, uccisa per mano di un killer tuttora sconosciuto nel tardo pomeriggio del 7 agosto 1990.
Ma dal 2014, dopo la sentenza della Cassazione che ha confermato l'assoluzione dell'ex fidanzato Raniero Busco, condannato in primo grado a 24 anni e poi scagionato due volte, del delitto di via Poma non si è quasi più parlato. Un'eternità per uno dei casi di omicidio più seguiti degli ultimi 30 anni. Fino a oggi però, a guardare bene, solo un lungo e inutile scandire di anniversari.
L'amore che Simonetta agognava per Natale era proprio quello di Busco, l'ultimo indiziato. Il loro era un rapporto burrascoso. Il tecnico motorista dell'Alitalia è finito alla sbarra dopo la riapertura delle indagini nel settembre 2007 da parte del pm Roberto Cavallone.
Suo l'unico Dna compatibile (su 29) trovato con le nuove tecniche investigative sul reggiseno e sul corpo della giovane contabile della società Reli (elaborazione dati), distaccata da qualche mese due volte a settimana negli uffici dell'Aiag (l'Associazione italiana alberghi della gioventù) al terzo piano della palazzina B di via Poma 2, a Prati, già teatro sei anni prima di un altro omicidio mai risolto, quello di Renata Moscatelli. Un edificio imponente, bianco e giallo, scale e pianerottoli che hanno riservato sorprese - e tracce di sangue - a ripetizione. Lì Simonetta avrebbe concluso il suo lavoro part time proprio il 7 agosto, poi sarebbe andata in vacanza con un'amica
. A casa - a Centocelle - il padre Claudio, autista dell'allora Acotral (scomparso nell'estate 2005, dopo aver a lungo lottato per avere giustizia), la madre Anna Di Giambattista, e la sorella Paola, sapevano poco o nulla di quello che stava facendo. Nemmeno l'indirizzo dell'Aiag, visto che alle 21, quando preoccupati cominciarono a cercare la ragazza che sarebbe dovuta rincasare due ore prima, dovettero far ricorso alle Pagine Gialle, proprio come - altra stranezza - Salvatore Volponi, uno dei responsabili della Reli, anch' egli poi sotto indagine, che chiese aiuto a un collega in campeggio.
Pare assurdo, ma il mistero di via Poma si gioca in parte su comportamenti difficili da comprendere di alcuni dei protagonisti. Innanzitutto proprio perché nessuno apparentemente conosceva l'ubicazione dell'ufficio dove Simonetta lavorava, quasi fosse un segreto mantenuto chissà per quale motivo dalla 20enne e da chi l'aveva incaricata.
Come non si è mai capito perché all'arrivo nel palazzo della sorella e di Volponi, che scoprirono il corpo della giovane martoriato da 29 fendenti sferrati pare con un tagliacarte (nemmeno questo è certo) forse dopo aver respinto un tentativo di stupro, Giuseppa De Luca, moglie di uno dei custodi, Pietrino Vanacore, fece di tutto - secondo i due testi - per ritardare la consegna delle chiavi dell'appartamento. «Le teneva nascoste dietro la schiena», affermò Paola Cesaroni davanti ai giudici. Già, Vanacore.
Se Busco è stato l'ultimo indiziato - e unico imputato -, lui è stato il primo. È rimasto in carcere 26 giorni, prima di essere liberato e scagionato. A incastrarlo, all'inizio, macchie di sangue sui pantaloni, che si scoprì era suo, e un comportamento considerato dai poliziotti piuttosto reticente. Impressione rimasta a lungo, tanto che sebbene non potesse essere l'assassino, il portiere di via Poma fu sospettato di aver aiutato il killer a cancellare le tracce del delitto, per far poi sparire il corpo di Simonetta, che - si ipotizzò - aveva aperto la porta a qualcuno che conosceva, fuggito con le chiavi, i suoi monili e una parte degli indumenti sporchi di sangue. Da qui l'accostamento a un altro sospettato, il giovane Federico Valle, nipote dell'architetto Cesare, progettista e inquilino del palazzo, per il quale il portiere era un tuttofare e il ragazzo una presenza costante in casa.
Alla fine anche la posizione del 20enne - indicato da un discusso superteste, Roland Voller - fu stralciata, mentre Vanacore si è ucciso nel marzo 2010 lasciandosi annegare in mare legato a un albero a Torricella, vicino a Taranto: «20 anni di sofferenze e di sospetti ti portano al suicidio», lasciò scritto su uno dei biglietti d'addio. Tre giorni dopo avrebbe dovuto testimoniare al processo contro Busco.
Un giallo nel giallo (archiviato nel 2011), che ha riproposto vecchi interrogativi, come quelli sul coinvolgimento (immancabile verrebbe da dire, e mai provato) dei Servizi segreti, della Banda della Magliana, di misteriosi personaggi che Simonetta avrebbe incrociato lavorando al pc dell'Aiag (senza Videotel, la chat di allora) venendo così a conoscenza di informazioni riservate. E letali. Dalle indagini però è anche emerso lo spettro di quello che oggi sarebbe uno stalker: telefonate anonime che la 20enne riceveva da tempo, e avvertimenti espliciti (le gomme squarciate dell'auto). Una pista forse mai battuta fino in fondo.
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