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Grazia Longo per “la Stampa”
STEFANO CUCCHI E LA SORELLA ILARIA
Nuova inchiesta sulla morte di Stefano Cucchi. La chiedono i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Roma nelle 67 pagine delle motivazioni della sentenza con cui, il 31 ottobre scorso, hanno assolto da tutte le accuse i tre agenti penitenziari, i sei medici e i tre infermieri imputati nel processo per la morte del geometra romano, arrestato il 15 ottobre del 2009 per droga e deceduto una settimana dopo nell’ospedale Sandro Pertini. L’attenzione si concentra ora sui carabinieri che presero in consegna il giovane dopo la perquisizione domiciliare.
LE RESPONSABILITÀ
Gli atti vanno dunque inviati «alla Procura di Roma affinché valuti la possibilità di svolgere ulteriori indagini al fine di accertare eventuali responsabilità di persone diverse». Ribaltando la sentenza di primo grado - che condannava i camici bianchi per omicidio colposo - il collegio presieduto da Mario Lucio D’Andria scrive che gli atti vanno trasmessi «alla procura affinché valuti la possibilità di svolgere ulteriori indagini al fine di accertare eventuali responsabilità di persone diverse dai poliziotti della penitenziaria già assolti». E il sospetto cade sui carabinieri.
Di sicuro, si legge, infatti nelle motivazioni, «le lesioni subite dal Cucchi debbono essere necessariamente collegate a un’azione di percosse; e comunque da un’azione volontaria, che può essere consistita anche in una semplice spinta, che abbia provocato la caduta a terra, con impatto sia del coccige che della testa contro una parete o contro il pavimento». Non è tuttavia ancora chiaro da chi sia stato picchiato.
E per i giudici «non può essere definita un’astratta congettura l’ipotesi prospettata in primo grado, secondo cui l’azione violenta sarebbe stata commessa dai carabinieri che lo hanno avuto in custodia nella fase successiva alla perquisizione domiciliare». Per ora si tratta solo di un’ipotesi, avvalorata però da testimonianze secondo cui «già prima di arrivare in tribunale Cucchi aveva segni e disturbi che facevano pensare a un fatto traumatico avvenuto nel corso della notte».
I FAMILIARI
La famiglia di Stefano reagisce con modalità diverse alle novità introdotte dalle motivazioni della Corte d’Appello. Il padre, Giovanni Cucchi, è soddisfatto: «Il rinvio degli atti alla procura è una grossa vittoria per noi perché vengono riconosciute le nostre istanze. Questo ci solleva, io sono al settimo cielo». Mentre la sorella Ilaria non nasconde le sue perplessità che mette nero su bianco anche su Facebook.
«Ho come la sensazione - scrive - che comunque con questo fascicolo si faranno indagini per dimostrare che i due pm del primo processo hanno fatto tutto benissimo. Ciò a dispetto dell’evidenza dei fatti sotto gli occhi di tutti. Meglio se a raggiungere questo risultato potrà essere un valente magistrato anti mafia. Magari sotto scorta. Allora nessuno potrà dire nulla. Nessuno». Il suo disincanto è dilagante: «Mafia capitale, lotta alla ’ndrangheta. Inchieste eroiche e preziose. Necessarie. Ma la morte di un tossico di fronte al prestigio di due magistrati non vale nulla».
Le fa eco il senatore Pd Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani, che dopo aver stigmatizzato le precedenti indagini della procura si augura «che ora, finalmente quelle nuove siano svolte da pubblici ministeri coscienziosi e competenti».
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