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ELVIS È MORTO, IL ROCK NON SI SENTE TANTO BENE E I MANESKIN CANTANO A CANNES – CONTINUA IL TOUR DELLE SETTE CHIESE DELLA BAND ROMANA CHE HA SFILATO ALLA PREMIERE DI “ELVIS”: SUL TAPPETO ROSSO I QUATTRO SONO APPARSI MENO DISINVOLTI DEL SOLITO E VAGAMENTE INTIMIDITI, MA POI SI SONO SCATENATI AL PARTY SULLA SPIAGGIA DOPO LA PROIEZIONE SINGHIOZZANDO "IF I CAN DREAM" DI ELVIS  - VIDEO

 

Fulvia Caprara per “La Stampa”

 

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Il rock è vivo e balla insieme alle star che ieri sera, sulla Montee des Marches, si sono date appuntamento per festeggiare la prima di Elvis, il film (dal 22 giugno nei cinema con Warner) che ricostruisce l’epopea tormentata del mito Presley. Tra i più attesi, sul tappeto rosso, i Måneskin, che nel gran circo del festival, sono apparsi per la prima volta vagamente intimiditi.

 

Il bello, per loro, arriva dopo, con il party sulla spiaggia dove hanno intonato il brano della colonna sonora If I Can Dream: «Penso che qualunque artista contemporaneo sia influenzato da Elvis - ha dichiarato Damiano in smoking dorato luccicante - perché l’idea di performer è nata con lui. Prima di lui i cantanti stavano fermi dietro l’asta del microfono, ha veramente cambiato la storia della musica».

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Con i Måneskin, all’ingresso del Grand Theatre Lumiere, sono apparse Sharon Stone, Shakira, Ricky Martin, Kylie Minogue, Juliette Binoche, la compagna di Ronaldo Georgina Rodriguez e un esercito di infuencer in assetto di guerra, pronte a documentare via Instagram la serata più glamour della kermesse.

 

Il cast al completo del film, guidato dal regista Baz Luhrman che mostrava ai fotografi la cintura con la scritta Elvis, ha chiuso la passerella tra i sorrisi di Tom Hanks e l’emozione del protagonista Austin Butler.

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Durante la proiezione molti applausi a scena aperta per le esibizioni musicali e grande attenzione per una rilettura che ha toccato il cuore di Priscilla Presley, presente all’evento tra ricordi e commozione.

 

Per dare nuova vita a una leggenda mille volte celebrata c’era bisogno di una prospettiva che Baz Luhrmann ha scelto con un preciso intento: «La storia si chiama Elvis - dice il regista - ma è anche la storia del Colonnello Tom Parker, è lui il narratore. Parker non aveva orecchio per la musica, ma era stato subito colpito dall’effetto che l’immagine di Presley aveva sul pubblico.

 

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Come dice lui stesso, in una battuta del film, “Elvis era il Carnevale più grande che avessi mai visto”. A metà Anni 50, in America, di carnevali ce n’erano tanti, ma spesso, soprattutto in campo musicale, erano fenomeni transitori. Parker stava cercando qualcosa di straordinario, di assolutamente speciale, proprio come Elvis».

 

Convincere Tom Hanks a calarsi nella parte non è stato difficile: «Non avevamo mai lavorato insieme, ma appena gli ho spiegato l’idea che avevo in testa, prima ancora che gli mostrassi certi materiali video, Tom mi ha detto “bene, se vuoi che faccia il Colonnello io ci sto, e lo considero un regalo”».

 

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Primo ad intuire l’enorme potenziale economico che quel cantante giovane e originale avrebbe potuto scatenare, Parker era secondo Hanks allo stesso tempo «un genio e un mascalzone, un uomo disciplinato e un malvagio uomo d’affari, soprattutto un pioniere, capace di individuare, come nessuno prima, le possibilità di arricchirsi con lo show business. Parker capì immediatamente l’unicità di Elvis e che, se non lo avesse fatto lui, qualcun’altro avrebbe approfittato della montagna di denaro prodotta da Presley».

 

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La scelta del protagonista era l’altro passo fondamentale: «Sapevo - spiega Luhrman - che non avrei potuto girare il film se non avessi trovato un attore capace di evocare le qualità vocali di Prisley, ma anche la sua speciale mimica e quel senso di vulnerabilità interiore».

 

Per Butler l’occasione di interpretare Presley è qualcosa di miracoloso, legato a presagi e coincidenze: «Pochi giorni prima di Natale mi era capitato di cantare Blue Christmas nella versione di Elvis. E poco dopo, a casa, avevo eseguito al pianoforte altri suoi brani, un mio amico mi aveva detto che dovevo continuare».

 

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Poi è arrivata la notizia ce Luhrman stava cercando un protagonista: «Ho capito subito che dovevo abbandonare tutto e fare quel ruolo, ad ogni costo. Ho cominciato a leggere e a guardare video sulla vita di Presley, sui suoi amici, sulle sue relazioni e prima che iniziassero i provini veri e propri ho mandato a Luhrman un video in cui interpretavo al piano Unchained Melody».

 

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Della sua prova il regista di Moulin Rouge ha apprezzato, più di tutto, la capacità di rivelare la parte più intima e nascosta del personaggio: «Proprio come Marilyn Monroe, che non era solo un’attrice, ma anche il simbolo di un’epoca, Elvis non era solo un cantante, ma una persona che, da un momento all’altro, si era ritrovata ad essere tra le più famose del mondo».

 

L’esplosione Elvis fu anche il frutto di una particolare congiunzione di eventi, il suo fascino, la sua carica provocatoria, la sua popolarità si specchiavano nei desideri della gioventù dell’epoca, a caccia di nuovi idoli da celebrare alla radio e in tv scatenando colossali fenomeni di mercato: «È difficile - dirà Presley molti anni dopo - sopravvivere a un’immagine»

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