DAGOREPORT - BENVENUTI AL GRANDE RITORNO DELLA SINISTRA DI TAFAZZI! NON CI VOLEVA L’ACUME DI…
Paolo Berizzi per “la Repubblica”
Sostiene Lady Potassio, al secolo Daniela Poggiali: «Le fotografie? Colpa della Pausini (Sara, la collega che scatta col telefonino, anche lei indagata). Mi chiese di farmi queste foto in divisa: “dai, fai una posa scherzosa!”. Forse è stata una mia leggerezza farle alla presenza di una persona deceduta. Infatti, dopo che me le inviò sul cellulare, mi premurai di cancellarle».
Prima, franosa, bugia. La prima di una lunga serie. Lunga come la conta dei pazienti — 93, un numero inquietante — morti in due anni, dal 2012 al 2014, durante i turni, soprattutto di notte, di Poggiali. L’infermiera di Lugo. Già assurta a espressione idiomatica. «Cancellai le foto, mi sono meravigliata che (Sara) abbia dichiarato che fui io chiedere di scattarle», dice ai magistrati. Non le aveva cancellate. I carabinieri le hanno trovate sul cellulare quando le hanno perquisito casa — lei, una sfinge — e hanno fotografato la schermata per cristallizzare l’abominio in corsia.
Le immagini choc. Poggiali compiaciuta con il pollice all’insù accanto alla salma di una donna anziana nella stanza del tanatogramma (la registrazione elettrica protratta dell’attività elettrica del cuore, a documentarne l’assenza) dell’ospedale Umberto I di Lugo. Sprezzante come il soldato torturatore che sottomette i suoi ostaggi. Più spavalda di Sonya Caleffi, l’altro angelo della morte. Un po’ “Misery non deve morire” e un po’ “Arsenico e vecchi merletti” di Frank Capra. L’accusa, per Lady Potassio, è da far tremare i polsi: omicidio pluriaggravato (l’aggravante è il veneficio ai danni della 78enne Rosa Calderoni, l’unica sua vittima finora accertata), vilipendio di cadavere oltre a furto (soldi rubati a pazienti e familiari) e peculato (sottratti medicinali e altro). E lei? Un muro di gomma.
«Non mi risulta che nei farmaci somministrati ci fosse del potassio», dichiara l’infermiera, ormai ex, davanti al gip Rossella Materia e al pm Angela Scorza: è il 13 ottobre scorso. Seconda panzana, surreale, della Poggiali. «Alla Calderoni somministrai solo un antibiotico e un altro farmaco protettore gastrico. Ricordo che il dottor Peppi mi disse di darle anche del Konakion, sempre per via endovenosa». Già. Invece è stato accertato che a Calderoni — «ero io in servizio al momento del decesso» — ha iniettato una dose letale di cloruro di potassio. Dalle carte della Procura di Ravenna — in particolare dai verbali degli interrogatori, di cui Repubblica è ora in grado di dare conto — emerge uno scenario horror.
Nel reparto di Medicina interna dell’Umberto I operava un’infermiera 42enne, “svelta”, “forte”, “spigliata”, come dice la madre, che teneva sotto scacco colleghe e pazienti. In ospedale faceva ciò che voleva. «Anche togliere la vita. Si sentiva onnipotente come un Dio. Questo è stato il suo errore», ragiona il procuratore capo di Ravenna, Alessandro Mancini.
Sara Pausini: «Quando le spiegavo che alcuni pazienti mi avevano impegnato molto mi rispondeva: tranquilla ci penso io, lasciando intendere che li avrebbe sedati». Ci andava giù pesante, coi sedativi, Lady Potassio. «Anche in assenza di prescrizioni mediche — rilevano i pm — con sprezzante incuria somministrava tranquillanti e lassativi ai pazienti ritenuti più impegnativi». I lassativi servivano per «mettere in difficoltà le colleghe dei turni successivi». I tranquillanti per avere meno scocciature. «Cosa vuoi che sia un goccino in più o un goccino in meno», tagliava corto.
Una paziente un giorno finisce in rianimazione. Settant’anni. Quattro meno della Calderoni. Le era stata rifilata una dose di sedativi da cavallo. «L’hanno salvata per miracolo con il Narkan», raccontano gli inquirenti. Non è escluso che, per questo secondo caso, si possa procedere per tentato omicidio. Perché di turno c’era sempre lei, la Daniela. «Di indole cinica, priva di freni inibitori, disprezza le più elementari regole civili e morali», annota l’accusa. Anche «una tipa vendicativa», secondo la Pausini, «io ne avevo soggezione fino a temerla».
Quanti ne ha spediti in cielo l’infermiera killer? «Novantatrè pazienti morti in due anni durante i suoi turni sono una percentuale mastodontica — spiega Alessandro Mancini — . Il più vicino dei suoi colleghi a quella cifra si ferma a 45 decessi. Gli altri a 30. Non abbiamo prova che questi 93 pazienti siano stati assassinati, ma il numero fa paura». Ne aggiungiamo uno parziale: 39. Sono gli anziani curati dall’indagata e seppelliti dal 1 gennaio all’8 aprile 2014.
La faceva facile Daniela Poggiali. Un giorno davanti a un medico (tre sono indagati per omissione di referto e atti d’ufficio, ndr ) che parla di una paziente “difficile”, fa la battuta: «Con due fiale di potassio risolviamo la situazione». Quel che pensava ha fatto. Alla lettera. Due fiale di potassio mancano dal carrello la mattina che Rosa Calderoni smette di vivere. «Il cloruro di potassio non l’ho mai visto somministrare per via endovenosa perché può essere pericoloso, va sempre diluito», afferma candidamente Poggiali. «Lo tenevamo in un armadio, ma non era chiuso a chiave... Non so perché quella mattina nel carrello non c’era la scatola, a meno che non fosse nel cassettino e qualcuno l’abbia persa ».
L’hanno inchiodata le tracce trovate nel corpo vitreo dell’anziana uccisa (perizia affidata dalla Procura al professor Franco Tagliaro, che si occupa anche del caso Pantani). E poi 200 testimoni. Hanno raccontato dei continui furti nelle camere, furti per i quali Poggiali andrà a giudizio. Anche qui, ovvio, lei non c’entra. «Da tutti era stata rilevata la frequenza di furti da circa due anni — si tira fuori — . Il problema era stato segnalato dalla direzione sanitaria e i pazienti erano stati avvertiti di non tenere con sé i valori». Già: quando lei era di turno, però. L’hanno vista portare via piatti, lenzuola, medicinali, detergenti intimi.
Niente, rispetto all’accusa di omicidio commesso col veleno. «Non ho mai fatto nulla di male, è tutto un complotto messo in piedi da colleghe con cui non andavo d’accordo», dice l’infermiera di Lugo. Successo niente. La vita tranquilla dopo la morte. Attenzione alle date. Il 14 aprile i carabinieri del reparto operativo di Ravenna (guidati dal colonnello Antonio Sergi) le consegnano l’avviso di garanzia: omicidio volontario. Non schiamazzi notturni: omicidio. L’8 ottobre la arrestano. Che cosa fa in questi sei mesi l’infermiera accusata di omicidio? Cene, feste, discoteca. Tutto a posto, solo la «scocciatura» dell’obbligo di firma: ogni giorno alle 12.30, in caserma. Al telefono con le colleghe “buone” Monica e Angelica si lamenta per la perquisizione a casa. «Erano in cinque, dovevi vedere... neanche fossi una criminale... Vabbè, stasera che si fa?». Attenta a non parlare della vicenda. La chiama la madre, preoccupata: «Ne parliamo quando vieni qui, meglio». Il 10 ottobre, 48 ore dopo l’arresto, Lady Potassio doveva volare con il compagno a Francoforte e poi spostarsi a Monaco per l’Oktoberfest. Dice l’investigatore: «Non era certo che sarebbe tornata».
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