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Barbara Schiavulli per "la Repubblica"
«Non posso dirvi dove sia, né fa re alcun commento. È un argomento delicato», dice Mohammad Fahim Rahimi, direttore del Museo Nazionale dell'Afghanistan. Dove sia il tesoro di Bactrian, una delle cinque collezione di ori - circa 22 mila pezzi - più importanti al mondo, è un mistero. Qualcuno dice che sia all'estero tenuto nascosto, qualcuno che è già nelle mani dei talebani, qualcun altro che è stato diviso e messo in vari posti.
L'unica certezza è che il suo valore è inestimabile, che potrebbe fare gola a molti trafficanti e che ad un governo che ha bisogno di soldi e che non vanta un amore sfrenato per la Storia antica, potrebbe essere utile. L'ultima volta che la collezione è stata vista era l'anno scorso in Cina. Ma precedentemente il tesoro - risalente al I secolo d.C - ha trascorso gli ultimi anni in giro per il mondo (anche a Torino): si pensava fosse andato perduto nel precedente governo dei talebani ma poi nel 2003 è stato ritrovato nel caveau della Banca Centrale di Kabul.
L'allora presidente Hamid Karzai dovette emettere un decreto per poter scassinare la gigantesca cassaforte e riportare alla luce collane, cinture, medaglioni, perfino una corona. L'esposizione del tesoro ha fruttato fino al 2020 4,5 milioni di dollari. «Quella del 15 agosto, quando i talebani sono entrati a Kabul, ho passato la notte peggiore della mia vita», dice Rahimi mostrando la porta sigillata del museo, con tanto di nastro adesivo intorno al lucchetto.
«Per due giorni abbiamo temuto saccheggi, avevamo paura che tutto andasse perduto, come negli anni '90, quando durante la guerra civile venne depredato del 70 per cento dei suoi artefatti, poi spuntati nelle aste, nei musei, nelle collezioni private di nazioni e attori internazionali». Rahimi ha trattato con i talebani perché fosse garantita sicurezza e protezione. Ora che neanche lui può rientrare nel suo ufficio, è deciso a non muoversi da quel edificio che rappresenta tutto il suo mondo.
«Potrei andarmene, ma sono qui. Il mio compito è proteggere l'eredità culturale di questo paese, anche se non sarò più direttore, accetterò di fare qualsiasi cosa pur di restare qui. Questo posto, quello che rappresenta, non è importante solo per l'Afghanistan, ma per la Storia del mondo, siamo stati un crocevia, si trovano reperti dei tempi di Alessandro Magno, fino a monasteri buddisti. Ci sono 5000 siti archeologici che andrebbero esplorati, siamo come l'Italia, dove scavi si trova qualcosa».
Bisogna, però, trovare il modo che i talebani accettino un compromesso con la Storia preislamica visto che tutti ricordano la distruzione dei Budda di Bamiyan nel 2001. «Il tesoro è al sicuro», assicura Abdullaq Wasiq, vicecapo della Commissione Cultura del governo talebano. «Il museo è chiuso per la sua stessa sicurezza. Non sappiamo ancora quando, ma riaprirà», mormora Wasiq con il viso tappezzato dal suo barbone nero e gli occhiali incorniciati da un turbante. «Il tesoro è a Kabul, protetto e in un posto che conosce solo il governo».
Wasiq, ce lo mostra il tesoro, così possiamo testimoniare che è qui? "Non possiamo, non sono fatti vostri, è una questione afghana ». Wasiq assicura che come per ogni nazione anche per il nuovo Afghanistan la cultura è importante e che nessuno ha intenzione di distruggere alcunché. «Una nazione senza cultura, è senza identità», dice. Poi però scuote la testa quando viene incalzato sulla scuola negata alle ragazze delle superiori.
«Ci andranno quando sarà sicuro per loro, tutto deve essere fatto in modo appropriato e rispettando la legge islamica ». Ma l'Islam non vieta alle donne di lavorare. «No, ma ci sono lavori consoni, come badare alla casa». Wasiq, parla un discreto inglese, imparato nella prigione americana di Bagram dove è stato rinchiuso per due anni (2007-2009), era il portavoce dei talebani nella provincia di Zabul e gestiva una radio di propaganda.
Sottoposto a torture di cui non vuole parlare, trascorreva il tempo a scrivere poesie sulla libertà, contro gli americani e l'amore per la patria, forse per questo è strano vederlo con un iphone di ultima generazione. Non è haram, proibito, un cellulare americano?
Wasiq per la prima volta fa una smorfia che sembra un sorriso, «Un telefono è come un coltello: puoi tagliarci il cibo o uccidere un uomo. Perché non dovremmo usare un iphone? Siamo in buoni rapporti con gli americani, noi volevamo solo che non controllassero il nostro paese, ma qui sono i benvenuti » .
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