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1 - ISIS: TV, A KIRKUK UCCISO GENERALE CURDO E 5 PESHMERGA
membri curdi peshmerga contro quelli di isis
(ANSA) - Un generale delle milizie curde irachene e cinque dei suoi uomini sono stati uccisi in un attacco dell'Isis nella provincia petrolifera di Kirkuk, nel nord del Paese. Lo riferisce la televisione panaraba Al Jazira. L'attacco, cominciato poco dopo la mezzanotte ad ovest e a nord di Kirkuk, e' stato seguito da combattimenti che sono proseguiti fino alle prime luci del giorno. L'alto ufficiale morto è il generale Shirko Rauf. Le milizie dei Peshmerga curdi sono la forza maggiormente impegnata in prima linea contro i jihadisti dello Stato islamico nel Nord dell'Iraq, da quando, nel giugno dello scorso anno, l'esercito di Baghdad si e' dato alla fuga davanti ad una fulminea avanzata dell'Isis.
2 - «IL SOLE TRAMONTA SUL PILOTA» ANGOSCIA PER GLI OSTAGGI ISIS
Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera”
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Ore di incertezza per le vite degli ostaggi nelle mani dell’Isis. In un audio diffuso nelle ultime 24 ore il giornalista giapponese 47enne Kenji Goto avvertiva che il pilota giordano Mouad al-Kasasbeh, 26 anni, sarebbe stato ucciso se entro ieri al tramonto il governo di Amman non avesse accettato lo scambio con la terrorista kamikaze Sajida al-Rishawi.
«Il sole sta tramontando e il respiro di Mouad al-Kasasbeh se ne andrà con il sole», si legge su un sito jihadista e il messaggio è accompagnato dalla foto di un coltello.
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Ma è almeno la terza volta nell’ultima settimana che l’ultimatum viene spostato. In verità pare non ci siano principi stabiliti: lo Stato Islamico (Isis o Califfato che dir si voglia) gioca con i suoi avversari e la comunità internazionale come il gatto col topo.
A questo punto potremmo scoprire che l’ultimatum scaduto ieri pomeriggio alle 17 e trenta ora di Mosul (le 18 e trenta in Italia) era solo un modo per rilanciare il prezzo sulla vita di al-Kasasbeh. E nelle prossime ore sui siti del «Califfato» potrebbero apparire le macabre immagini della sua esecuzione.
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O, ancora, neppure quelle e potrebbe ricomparire la versione diffusa lo scorso due gennaio, una decina di giorni dopo che l’aereo di al-Kasasbeh era caduto nella regione di Raqqa (considerata la capitale di Isis in Siria), quando si era vociferato che il pilota fosse morto durante un blitz per tentare di salvarlo coordinato tra le teste di cuoio giordane e americane.
In realtà non sappiamo, possiamo solo attendere. Non stupisce che il governo giordano torni a chiedere prove concrete che il pilota sia ancora in vita. Sono ore di angoscia per la sua famiglia, che insiste per premere sul governo e lo stesso re Abdallah affinché si prodighino per lo scambio. Ma la cosa è complicata. Sino a due giorni orsono sembrava forse più possibile. Però, nelle ultime ore è stato proprio il messaggio con la voce di Goto a rendere tutto più drammatico. Si mischiano qui aspetti umanitari, politici e militari.
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All’ansia della famiglia del pilota si aggiunge quella della famiglia del giapponese. Da Tokyo la moglie Rinko rivela ai media di essere in contatto con Isis via mail sin dai primi di dicembre. «Abbiamo due bambine giovanissime. Quando lui è partito per la Siria la più piccola aveva solo tre settimane e mezzo, l’altra due anni. Vi prego, fate che le nostre bambine possano riabbracciare il padre», dice.
Isis può uccidere o trattare, rilanciare la posta, giocare su più tavoli, cancellare e riscrivere da un momento all’altro le condizioni. Le osservazioni a caldo che si possono trarre sono che, per la prima volta dalle violenze dell’estate scorsa, l’Isis non chiede riscatti in denaro, bensì scambi di prigionieri.
Inoltre rispetto alla Giordania appare il doppio aspetto di rilegittimarsi a partner regionale e soprattutto il tentativo di rafforzare il campo dell’islamismo radicale locale contro la monarchia di re Abdallah, che sino ad ora è stata a fianco della coalizione guidata dagli americani, anche a prezzo di alimentare il malcontento interno.
C’è infine da considerare che in realtà a Isis della al-Rishawi in quanto tale interessa molto poco. Nell’universo militante del radicalismo islamico è una figura minore, più di imbarazzo che rilevanza. Doveva farsi saltare in aria nei grandi alberghi di Amman dieci anni fa. Suo marito è morto con gli altri terroristi del commando suicida e almeno sessanta civili innocenti. Lei no. La sua cintura non è esplosa. Da allora è sempre stata in carcere. Nessuno ne parlava, raramente era citata nelle chat dell’universo radicale islamico, il suo nome non è mai apparso nei proclami di Isis.
La sua storia appartiene al passato di Al Qaeda nell’Iraq del periodo dell’inizio del terrorismo appena seguente l’invasione americana. Isis ha certo forti radici in quegli anni, ma oggi appare ben altro: è figlio del malcontento sunnita in Iraq e Siria, nasce dalla repressione spietata voluta dall’ex governo Maliki a Bagdad e del presidente Assad a Damasco, si congiunge adesso con le colonne della jihad internazionale.
La richiesta della liberazione di questa oscura ex kamikaze fallita è dunque un atto simbolico. L’Isis torna a minacciarci tutti, da Tokyo ad Amman, e si presenta come il legittimo erede dei movimenti estremisti islamici dell’ultimo ventennio .
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