DAGOREPORT – REGIONALI DELLE MIE BRAME! BOCCIATO IL TERZO MANDATO, SALVINI SI GIOCA IL TUTTO PER…
Alba Solaro per Vanity Fair
Su una collina in Giappone c’è una cabina del telefono dove la gente va per parlare con chi non c’è più. Si trova nei pressi di Otsuchi, uno dei villaggi della costa settentrionale che furono spazzati via dal terremoto (di magnitudo 9) e dallo tsunami dell’11 marzo del 2011. Ci furono quasi ventimila vittime quel giorno, e sono tantissimi i parenti e gli amici che da allora affrontano il pellegrinaggio laico fino a questa cabina immersa nel verde, per un’impossibile telefonata.
Spesso conversano come se ci fosse davvero qualcuno dall’altra parte; raccontano cosa succede in famiglia, a volte piangono, fanno piccole domande strazianti: «Fa freddo lì dove sei?», «Ti manco?». Non sono pazzi, non si aspettano che qualcuno sul serio risponda; sanno, per esempio, che l’apparecchio in realtà non è collegato alla rete. Lo chiamano Kaze no denwa, «il telefono del vento».
Sta lì dal 2010, da quando un giardiniere di settant’anni, Itaru Sasaki, lo ha fatto installare nel retro di casa perché aveva perso un cugino che amava come un fratello, e non si rassegnava all’idea di non potergli più parlare. Qual è il modo più semplice per raggiungere qualcuno che è lontano se hai voglia di sentire la sua voce?
In un documentario del network giapponese Nhk Sendai, Sasaki racconta come ha deciso di comprare la cabina e metterci uno di quei vecchi telefoni a disco tondo che ormai si vedono solo nei film pre-anni ’80. «Volevo un luogo intimo dove poter dire quello che sento. E non ho messo la linea proprio perché so che le parole finiranno nel vento». O nel mare: la cabina si affaccia sull’oceano, circondata da alberi e fiori di campo, come un paesaggio di Renoir. Dopo lo tsunami, la voce è girata e sono arrivati in tanti.
Forza del pensiero magico, che trascende ogni forma religiosa e punta dritto al conforto, soprattutto se non c’è stato il tempo di salutarsi, di parlarsi un’ultima volta. Si calcola che negli ultimi tre anni siano andati lì in 10 mila, molti tornano in zona soltanto per la telefonata (a sei anni dal disastro la ricostruzione avanza ma solo il 10% degli sfollati è tornato indietro).
Dentro la cabina c’è anche un quaderno dove si possono lasciare nomi, pensieri, messaggi. Il podcast di una web radio americana, This American Life (www.thisamericanlife.org) ha registrato e tradotto molte delle telefonate nella puntata 597: One last thing before I go («Un’ultima cosa prima che vada»). Nella cultura giapponese è inconsueto mostrare in pubblico i sentimenti, per questo, ancora di più, ascoltare quelle conversazioni a una voce spezza il cuore.
Ultimi Dagoreport
DAGOREPORT – CHI È STATO A FAR TRAPELARE LA NOTIZIA DELLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI? LE…
DAGOREPORT – LO “SCAMBIO” SALA-ABEDINI VA INCASTONATO NEL CAMBIAMENTO DELLE FORZE IN CAMPO NEL…
DAGOREPORT - GRAZIE ANCHE ALL’ENDORSEMENT DI ELON MUSK, I NEONAZISTI TEDESCHI DI AFD SONO ARRIVATI…
VIDEO-FLASH! - L’ARRIVO DI CECILIA SALA NELLA SUA CASA A ROMA. IN AUTO INSIEME AL COMPAGNO, DANIELE…
LA LIBERAZIONE DI CECILIA SALA È INDUBBIAMENTE UN GRANDE SUCCESSO DELLA TRIADE MELONI- MANTOVANO-…