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Altri tre mesi per concludere gli accertamenti autoptici e depositare una relazione sulle cause della misteriosa morte di Imane Fadil, una delle testimoni chiave del caso Ruby deceduta lo scorso 1 marzo all’ospedale Humanitas di Rozzano. È la proroga concessa dalla Procura di Milano al pool di consulenti, guidato dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo, incaricato dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e dai pm Luca Gaglio e Antonia Pavan di fare chiarezza sul decesso della modella marocchina.
Lo scorso 26 marzo era iniziata l’autopsia all’Istituto di medicina legale di Milano e gli inquirenti avevano dato un mese di tempo agli esperti per il deposito della relazione finale. Da quanto si è saputo, però, per la complessità delle analisi sono stati concessi ora altri 90 giorni e quindi il termine, inizialmente previsto per fine aprile, slitta a fine luglio. Tra le ipotesi al vaglio l’avvelenamento per intossicazione da metalli o la morte naturale per una malattia fulminante.
A fine marzo sono iniziati gli accertamenti degli esperti sul cadavere della giovane (non c’è ancora stato il nulla osta dei pm alla restituzione della salma alla famiglia per i funerali), dopo che esami più approfonditi avevano escluso la presenza di radioattività negli organi della modella, radiazioni che erano state, invece, rilevate in analisi sulle urine e sul sangue.
IMANE FADIL - LA CASCINA IN CUI VIVEVA A CHIARAVALLE
Il quesito, a cui gli esperti nominati dalla Procura devono rispondere nell’inchiesta aperta per omicidio volontario, prende in considerazione ogni aspetto: si va dall’avvelenamento per intossicazione da metalli (è stata trovata, infatti, una massiccia concentrazione di cadmio, antimonio e cromo), alla morte naturale per malattia fulminante (si ipotizza anche una forma rarissima di aplasia midollare). I familiari della modella, intanto, stanno seguendo le indagini e gli accertamenti, assistiti dai legali Mirko Mazzali e Nicola Quatrano.
imane fadil l'ultima intervista 3
I consulenti, tra l’altro, sono anche chiamati ad accertare proprio il motivo per cui dal risultato di un test comunicato ai pm lo scorso 12 marzo siano emerse appunto «tracce di raggi alfa».
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