DAGOREPORT – NEL NOME DEL FIGLIUOLO: MELONI IMPONE IL GENERALE ALLA VICEDIREZIONE DELL’AISE.…
Raimondo Bultrini per “la Repubblica”
La scintilla della ribellione tra le file dell’India secolare e gandhiana è scattata il 30 settembre, dopo che una folla di induisti in un villaggio a un’ora da Delhi ha ucciso un musulmano di 50 anni a colpi di mattoni, ferito gravemente il figlio e picchiato selvaggiamente il resto della famiglia sospettata di mangiare fettine di vitello.
In realtà nel loro frigo c’era solo carne di capra, ma il raid scatenato dai fanatici di Manipur è stato solo il riflesso di un fenomeno ben più vasto di intolleranza religiosa all’origine di numerosi altri omicidi in vari Stati della più grande democrazia del mondo, e non solo in nome dell’animale sacro per eccellenza degli hindu. Un intellettuale razionalista e uno scrittore contrario all’adorazione degli idoli sono stati uccisi negli ultimi mesi a sangue freddo per aver esposto pubblicamente le loro idee “blasfeme”.
La blanda reazione del governo a base religiosa del Bjp e la lentezza delle indagini per scoprire i responsabili tra le file dei gruppi fondamentalisti hindu, hanno convinto la comunità degli intellettuali ed artisti a raccogliersi per una protesta comune, diventata clamorosa con la decisione di 30 scrittori e filmaker di restituire i premi statali ottenuti durante la loro carriera. Per ultimo è stato uno dei più idolatrati attori di Bollywood, Shah Ruk Khan, a mettere tutto il peso della sua popolarità dalla parte del movimento progressista: «L’intolleranza religiosa – ha detto – e l’intolleranza di ogni genere, è la cosa peggiore e ci porta verso le ere oscure».
Per tutta risposta il potente ministro delle Finanze, Arun Jaitley, su Facebook ha definito il premier Narendra Modi «la peggiore vittima dell’intolleranza ideologica del Congresso, degli intellettuali di sinistra e degli attivisti». Ma gli episodi inquietanti come quello che del 30 settembre sono continuati, e lunedì scorso un altro musulmano è stato picchiato a morte in un villaggio vicino Manipur, nel Nord est, con l’accusa di aver rubato una mucca. Due settimane fa una delle numerose “pattuglie di difesa” dell’animale sacro costituite in diversi Stati dai devoti dei Veda, ha linciato l’autista di un camion che trasportava una mandria lungo le strade dell’Himachal Pradesh.
E ancora, il 18 ottobre, nel Kashmir del sud, folle inferocite hanno lanciato un ordigno incendiario contro un automezzo e ustionato a morte un ragazzo sospettato di commerciare bovini, provocando uno sciopero generale in tutta la delicata regione a maggioranza islamica contesa con il Pakistan. In questo caso il Bjp è sceso direttamente in campo con i suoi deputati locali che hanno assaltato un collega musulmano mentre reclamava provocatoriamente in aula il diritto di mangiare carne di mucca.
La lista degli episodi di violenza registrati da nord a sud è lunga e comprende intimidazioni, ronde notturne contro il “vizio”, stupri di ragazze colpevoli di sposare uomini di altre caste e fedi, boicottaggi di film e libri giudicati irriguardosi verso gli dèi e gli eroi dell’India.
Ma l’assassinio dell’attivista sociale e razionalista Govind Pansare nel febbraio scorso in Maharastra, e quello dello scrittore Malleshappa M. Kalburgi, ucciso ad agosto in Karnataka, hanno alzato il livello di allarme contro la minaccia costante posta dai gruppi più estremi dello schieramento politico e religioso che supporta il governo. La stessa Sonia Gandhi, leader del Congresso, ha guidato una marcia fino al palazzo presidenziale per accusare direttamente Modi di essere responsabile, con il suo silenzio, del clima di “paura e intimidazione” che regna nel Paese.
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