DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Aldo Cazzullo per corriere.it
Mancano dieci minuti a mezzanotte, quando Sánchez parla dal balcone della sede del partito socialista. I militanti quasi non lo stanno a sentire. Gridano, cantano, gli danno sulla voce. Lui è costretto a sgolarsi: «Lasciatemi finire… vi prego… vi vedo molto partecipativi, anche troppo… Stavo dicendo che abbiamo vinto…». In realtà, stavolta Sánchez non ha vinto. È arrivato primo. Non è la stessa cosa. Aveva chiesto il voto anticipato nella convinzione di crescere rispetto alle elezioni del 28 aprile. Invece il segno è negativo. Soprattutto, la situazione si è molto complicata.
Podemos perde sette seggi: una soddisfazione personale per Sánchez, che non ama Pablo Iglesias; ma anche una possibilità in meno, uno schema di gioco che diventa impossibile, un forno che si chiude. Nel Parlamento uscente esisteva una teorica maggioranza di sinistra; in quello nuovo, no; a meno di non mettere insieme un terrificante puzzle di indipendentisti catalani, autonomisti baschi, nazionalisti navarrini.«Con Casado no!» implorano i militanti. In realtà, a Sánchez non resta che l’accordo con il nemico di sempre: il Partito popolare di Pablo Casado, la destra un tempo considerata postfranchista e ora moderata. Più che una grande coalizione, sarà un compromesso storico. Lo impone anche il buon risultato dei separatisti.
In Catalogna il primo partito è la Sinistra repubblicana, il cui leader Oriol Junqueras è in galera; risalgono gli indipendentisti duri di Junts per Catalunya; entrano alle Cortes gli estremisti della Cup, che finora non partecipavano alle elezioni nazionali per non dare l’impressione di riconoscere lo Stato spagnolo. Con gli autonomisti delle Canarie e della Cantabria, si affacciano in Parlamento pure il Blocco galiziano e la lista che ricorda: «Teruel existe!».
Il boom di Santiago Abascal, che raccoglie oltre il doppio dei seggi, rappresenta uno choc emotivo per la sinistra spagnola. Ad aprile Sánchez era riuscito a mobilitare il proprio elettorato, e a convincere moderati e incerti che la destra neofranchista e antisistema rappresentava un rischio per la democrazia. Stavolta non è andata così. Vox tallona Psoe e Pp a Madrid. È il primo partito a Murcia. Conquista l’unico seggio di Ceuta, l’enclave spagnola in Marocco, dove l’immigrazione è l’emergenza quotidiana. E si consolida in tutto il Paese. «Abbiamo restituito voce a un pezzo di Spagna che non l’aveva – grida nella notte Abascal -. Ora aspettiamo anche gli amici che votavano socialista».
Il Partido popular, invece, si è presentato a queste elezioni su una linea di centro. La svolta è cominciata proprio la sera del 28 aprile, quando il giovane leader Pablo Casado disse testualmente: «Ho appena telefonato al presidente Sánchez. Il Psoe ha vinto le elezioni. Il Partido socialista obrero español è un grande partito, che ha fatto la storia del nostro Paese». Stavolta il Pp ha ventidue seggi in più, Casado non deve riconoscere una sconfitta. Si presenta come «forza tranquilla» e apre al dialogo con i socialisti: «Aspettiamo le proposte di Sánchez».
La lista del premier resta quella più votata. Ma ad aprile aveva il doppio dei seggi rispetto al Pp. Ora la distanza si è ridotta. E la soluzione più probabile è un’intesa tra i due grandi partiti, coerente con la tendenza al ritorno del bipolarismo. L’obiettivo di Sánchez era sconfiggere nettamente il Pp e indurlo ad astenersi, senza nessuna condizione che non fosse la linea dura con i separatisti catalani. L’obiettivo è fallito. I popolari proveranno a chiedere a Sánchez la rinuncia alla Moncloa, la sede del premier. Non è detto che finisca così. È solo la mossa d’apertura di una partita a scacchi che si annuncia lunga; ma con Vox tanto forte, Casado dovrà ottenere qualcosa, prima di dare il via libera a un governo socialista. I mercati, gli industriali, la finanza - e la Germania che controlla il debito pubblico spagnolo - spingeranno per un accordo, che eviti un altro ritorno alle urne e un nuovo regalo ad Abascal.
La nascita di un partito estremista può essere un problema grave anche per i popolari, come è stata per la destra repubblicana francese Marine Le Pen, svelta a congratularsi con «l’amico Santiago». La prima vittima è Albert Rivera, il fondatore di Ciudadanos: un movimento centrista che due anni fa è stato anche in testa ai sondaggi, e ora crolla al 6%. Rivera annuncia un congresso che potrebbe segnare l’avvento di Inés Arrimada, la capolista in Catalogna che ha salvato l’onore del partito. Lui invece si è suicidato: se avesse appoggiato il governo Sánchez, avrebbe evitato il voto e una punizione così severa.
Pure Podemos, stasera ridimensionata, ha un numero 2 donna. È Irene Montero, la compagna del capo. La coppia arriva in sede con i gemellini Leo e Manuel e la piccola Aitana, tre mesi, in braccio al padre. Per Iglesias un governo Psoe-Pp sarebbe l’ipotesi migliore, visto che gli aprirebbe un grande spazio a sinistra. Esordisce salutando i «compagni fotografi», chiude «tendendo la mano ai compagni socialisti». Ma sono lontani i tempi in cui festeggiava i risultati cantando a pugno chiuso «El pueblo unido jamás será vencido» nella piazza sotto il museo Reina Sofia, che custodisce Guernica di Picasso, la massima testimonianza degli orrori della guerra civile.
Del Caudillo si è parlato molto, in campagna elettorale. C’è un passato che non passa: basta sovrapporre la mappa politica della Spagna del 1936 a quella di ieri. Là dove l’alzamiento di Franco riuscì, si vota in maggioranza a destra. Là dove fallì, dall’Andalusia al Paese basco alla Catalogna, la destra è più debole o quasi non esiste. Ma la Spagna è ora percorsa da nuove linee di frattura. E gli indipendentisti catalani si faranno sentire già oggi, con proteste che ormai sfuggono al controllo del governo locale: anche a Barcellona le elezioni anticipate sono più vicine. La notte della democrazia iberica non è ancora finita; anche se finalmente si intravede la soluzione del rebus, l’intesa tra socialisti e popolari.
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