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Francesco Grignetti per “la Stampa”
Diceva Luca Parnasi, al telefono con un imprenditore suo amico: «Io pago tutti».
Brandelli di una conversazione tra due uomini d' affari. Il primo dice seccamente: «Ringraziando il cielo, io non pago nessuno... per non avere nessuno». Intendendo che è ben contento di non avere una scuderia di uomini politici ai suoi ordini. Parnasi, che invece ha un altro modello di business in testa, gli risponde: «E io invece pago tutti... per non avere nessuno».
E ride. Ride perché sa di dire una bugia. In un' altra intercettazione, parlando con i suoi collaboratori, fa ben altro quadro: «Io spenderò qualche soldo sulle elezioni, che poi vedremo come vanno girati ufficialmente coi partiti politici... La sostanza è che la mia forza è quella che alzo il telefono e Sala (intendendo il sindaco di Milano che ricevette un finanziamento per la campagna elettorale, da 50 mila euro, regolarmente registrato, ndr) incontra Roberto Mazzei (un immobiliarista socio di Luigi Bisignani, ndr) in vacanza... e gli dice "Luca m' ha... io sono gratissimo a Luca perché senza Luca, che all' epoca a Milano non esisteva, io non facevo la corsa elettorale"... Non so se mi spiego... Noi diventiamo quelli che fanno il Milan anche per questo... Io queste cose ve le devo dire, no? O sbaglio a dirvele? Vi scandalizzo?».
LANZALONE - ROCCO CASALINO - LUIGI DI MAIO
Ma figurarsi, quale scandalo. Così va il mondo. E così funzionava il metodo Parnasi. Il costruttore, al telefono con il suo commercialista, spiegava che all' associazione «Più voci», del tesoriere leghista Giulio Centemero, nel 2015 ha dato 250mila euro. Doveva restare un segreto, ma l' Espresso l' ha scoperto. E allora. «Cerchiamoci una giustificazione», dice il commercialista. Parnasi: «Possiamo giustificarla che abbiamo un progetto ex post! Sennò bisognerebbe incontrarli domattina, capito?».
«Io pago tutti». Ma in segreto. Utilizzando il cognome della madre. O qualche testa di legno. O ancora con i contributi alle fondazioni, che quelli non lasciano traccia. Il 15 marzo, a elezioni concluse, s' informa con il commercialista, prospetti alla mano: «Scusami, ma poi abbiamo qua altri 22.000 euro della campagna... scusami, tu qui non hai messo... Lega ed Eyu». Risposta: «Io ho dato già. Ho sentito tutti quanti».
Per non rischiare, insomma, contribuiva alle casse dei due Matteo della politica nazionale. Duecentomila a Salvini, centocinquantamila a Renzi. Già, perché Eyu significa Francesco Bonifazi, tesoriere Pd, renziano di ferro.
Poi, naturalmente, c'era il sostegno ai singoli candidati di tutti i partiti: da Forza Italia al Pd, a Fratelli d'Italia, alla Lega. Persino una di LeU ha preso qualcosina. Lo stesso dicasi per i grillini. È indagato l'avvocato Mauro Vaglio, presidente dell' Ordine degli avvocati di Roma, portato in palmo di mano da Luigi Di Maio al tempo delle candidature.
Il 23 marzo scorso, si intascava 15mila euro mediante il pagamento di una fattura falsa. Soldi che aveva ricevuto per la campagna elettorale e che figurano come parcella di una prestazione mai fatta. Oppure Daniele Piva, un altro candidato grillino non eletto.
Il 5 marzo, Piva si precipita da Parnasi perché un suo contributo di 9mila euro è arrivato troppo tardi per la campagna elettorale, e quindi bisogna far figurare che lui li restituisce, ma allo stesso tempo chiede all' imprenditore di poterli tenere per sé. Nessun problema, ci mancherebbe.
Si vedrà poi che il nuovo bonifico è di 16mila euro. Spunta fuori di nuovo una fattura falsa, che Parnasi spiega ai suoi: «È il braccio destro di Di Maio, tanto per essere chiari, e purtroppo per me è stato trombato... domenica lì all' Eur, che è il quartiere Tor di Valle ... quindiii... lui ha detto che ci rimborsa il finanziamento fatto perché non li può spendere, mentre vorrebbe che noi... a me va benissimo ... fino all' importo di novemila euro... E figurati se non vuole... non vuole un qualcosa in più... a noi ci va bene perché quando li chiami...».
Appunto, quando Parnasi chiama. Ora sta agli avvocati Emilio Ricci e Giorgio Tamburino tirarlo fuori di galera. Presto il ricorso al tribunale della libertà.
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