DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Monica Ricci Sargentini per il “Corriere della Sera”
Fino a qualche giorno fa Sondos Alqattan, kuwaitiana, era nota per essere una star di Instagram con 2,3 milioni di follower, corteggiata da tutte le grandi case di make up per i suoi tutorial seguitissimi. Ma ora l' influencer si è attirata le critiche del mondo intero dopo aver pubblicato un video in cui definisce «patetica» la nuova legge che migliora le condizioni di lavoro delle colf filippine in Kuwait, uno dei Paesi del Golfo tristemente noto per le violazioni dei diritti umani ai danni dei lavoratori del sud-est asiatico. «Come si può avere una domestica a casa che si tiene il passaporto?
Quello che è peggio è che hanno un giorno libero ogni settimana e andranno chissà dove» ha detto indignata Alqattan, il viso perfettamente truccato circondato dal velo bianco. «Se scappano e tornano nel loro Paese, chi mi ripagherà? Non sono d' accordo con questa legge, non voglio più una donna di servizio filippina».
Il video ha lasciato di stucco i tanti sponsor dell' influencer che si sono affrettati a prendere le distanze. «Shiseido non sta lavorando con Sondos né ha in programma di lavorare con lei in futuro. Il rispetto dei diritti umani è un pre-requisito delle nostre attività» ha fatto sapere la compagnia di cosmetici giapponese.
Una linea seguita anche da Mac Cosmetics e Max Factor che hanno annunciato di aver sospeso ogni collaborazione con Alqattan soprattutto dopo che su internet era partita una campagna di boicottaggio per qualsiasi marca di prodotti associati alla star del make up kuwaitiana. Tra le proteste, quella delle associazioni delle migranti filippine che vantano 250 mila membri nel solo Kuwait.
La nuova legge sui lavoratori stranieri approvata in Kuwait nasce dalla crisi diplomatica con le Filippine causata dall' omicidio di Joanna Daniela Demafelis, una giovane colf di 29 anni, il cui cadavere fatto a pezzi era stato ritrovato in un freezer del suo datore di lavoro libanese lo scorso gennaio.
Erano volate parole grosse anche perché le morti sospette nei mesi precedenti erano state almeno 7. Così a febbraio Manila aveva emesso un divieto temporaneo nei confronti dei lavoratori filippini all' estero diretti in Kuwait e il presidente Rodrigo Duterte aveva chiesto ai 276mila filippini che lavorano nel Paese del Golfo di rientrare in patria nonostante contribuiscano ad aumentare il Pil nazionale: «Mi venderò l' anima al diavolo per trovare i soldi per farvi tornare qui e vivere in modo confortevole». La crisi si era sgonfiata dopo che a maggio i due Paesi avevano firmato un accordo per migliorare le condizioni di lavoro.
Sono 2,4 milioni i filippini che lavorano all' estero, tra questi la maggioranza (il 56,9%) ha scelto il Medio Oriente dove vige la famigerata kafala o legge del padrone che permette al datore di lavoro di decidere se e quando il domestico potrà lasciare il Paese o cambiare impiego.
Alla maggior parte dei dipendenti non è consentito uscire di casa per salvaguardare l' investimento finanziario fatto con l' assunzione che andrebbe perso in caso di fuga. La kafala è stata criticata da tutte le organizzazioni per i diritti umani da Human Rights Watch a Amnesty International. Quest' ultima nel 2014 aveva presentato un rapporto agghiacciante sulle condizioni delle domestiche straniere in Qatar sottoposte anche a violenze.
La maggioranza dei filippini emigrati in Medio Oriente vive in Arabia Saudita (23,8%) mentre il 15,9% è negli Emirati Arabi, il 6,4% in Kuwait e il 6,2% in Qatar.
Nel 2011 Manila aveva denunciato le condizioni di lavoro cui erano sottoposti i suoi cittadini in Arabia Saudita chiedendo un aumento di salario e maggiori garanzie sul rispetto dei diritti umani. Per tutta risposta Riad aveva bloccato l' emissione di nuovi permessi per visti di lavoro. Stessa storia per l' Indonesia, che nel 2010 si era battuta contro la condanna a morte di una sua cittadina, impiegata a Riad, accusata di aver ucciso il proprio datore di lavoro mentre lui tentava di stuprarla.
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