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FLASH! - SIAMO UOMINI O GENERALI? PER L'OTTUAGENARIO CALTAGIRONE LA CATTURA DEL LEONE DI TRIESTE E'…
1. “CLIMA, STRADA APERTA AL NUOVO PROTOCOLLO”
Massimo Gaggi per “il Corriere della Sera”
susan rice john kerry xi jinping obama
Un accordo sulla riduzione dei gas-serra che, rimuovendo l’ostacolo dei contrasti tra i due maggiori produttori mondiali di anidride carbonica, può aprire la strada a un nuovo protocollo planetario sull’ambiente da siglare al vertice Onu sul clima che si riunirà nel 2015 a Parigi.
È sicuramente questo il risultato più significativo della visita di Barack Obama a Pechino: nessun annuncio spettacolare ma, siglando quattro accordi di sostanza anche se di portata limitata (eliminazione dei dazi sull’export di tecnologie digitali; ampliamento dei visti turistici, di studio e di lavoro; cooperazione militare per evitare che incidenti sul Mar della Cina possano sfuggire di mano generando conflitti; l’intesa sull’ambiente), il presidente Usa e quello cinese hanno provato ad aprire una fase nuova.
Semplificando al massimo: Obama, che chiede da tempo alla Cina di dimostrarsi una potenza consapevole condividendo le responsabilità nella gestione delle grandi crisi, ha ottenuto l’impegno di Xi Jinping a un maggior coinvolgimento di Pechino su molti fronti: dalla lotta contro il terrorismo dell’Isis all’epidemia di Ebola in Africa, passando per le pressioni sull’Iran perché rinunci ai suoi piani nucleari militari e, come detto, all’ambiente (la Cina bloccherà il livello dei gas serra dal 2030, gli Usa cominceranno prima tagliando le emissioni del 26-28% entro il 2025). In una trattativa lunghissima — l’accordo sul clima Obama ha cominciato a negoziarlo con gli emissari cinesi a fine settembre a New York — Xi ha accettato molte delle richieste di Washington.
Ma in cambio ha chiesto agli Usa di astenersi dall’intervenire sui diritti umani in Cina e sulle sollevazioni politiche in corso a Hong Kong. Obama, bisognoso di una sponda cinese per la sua politica estera, ha scelto una via intermedia: non ha preso posizione su Hong Kong limitandosi ad auspicare che vengano evitate violenze, ma ha anche sostenuto che gli Usa non possono ignorare i diritti umani perché quella delle libertà e della dignità dell’uomo è un’aspirazione dell’intera umanità, non una battaglia solitaria degli Stati Uniti.
I due leader hanno alternato reciproci riconoscimenti a moniti più o meno espliciti nelle dichiarazioni rese alla fine di un lungo vertice nel Palazzo del Popolo, l’imponente edificio sede del Parlamento cinese che sorge di fronte alla Città Proibita, l’antica residenza imperiale. Poi una mini-conferenza stampa condotta sul filo del rasoio: un vero pezzo di teatro politico. Non abituati a ricevere domande dai giornalisti, i cinesi non volevano nemmeno che si parlasse di conferenza stampa.
Alla fine, dopo molte pressioni americane, Xi ha accettato una formula minima: due sole domande, una da un giornalista americano, una da un cinese. Ma poi ha ostentatamente ignorato la domanda di Mark Landler del New York Times che gli chiedeva conto della repressione anche nei confronti della stampa straniera: testate che, avendo tirato fuori scandali e storie scomode, si sono viste negare i visti per i loro corrispondenti.
Xi è passato oltre ma poi, rispondendo a una domanda innocua di un giornalista cinese, dopo aver detto di voler fare di più anche sui diritti umani, ha aggiunto una considerazione assai critica: «La Cina protegge la libertà d’espressione dei cittadini, ma anche i giornalisti devono rispettare le leggi: quando un’automobile si rompe bisogna scendere per vedere cosa è successo. In Cina abbiamo un detto: chi crea un problema deve poi darsi da fare per risolverlo». Come dire che il problema non sta nei fatti che vengono denunciati ma nelle accuse troppo severe della stampa.
2. “IL TAGLIO PROMESSO ALLE EMISSIONI NON CURERÀ LA FEBBRE DELLA TERRA: ULTIMA CHANCE A PARIGI NEL 2015”
Stefano Agnoli per “il Corriere della Sera”
obama e xi jinping brindano a vino rosso
Un annuncio storico quello di Obama e Xi Jinping sul clima? Certo, se si dà un’occhiata alla top ten dei Paesi che emettono più CO2 al mondo la Cina è prima e gli Stati Uniti secondi, rispettivamente con più di 8 e 5 miliardi di tonnellate l’anno. Non si può che essere compiaciuti, quindi, se i primi due «inquinatori» del pianeta – che pesano per il 40% delle emissioni – trovano un accordo per limitarle.
Ma dopo la «photo opportunity» quanto è incoraggiante lo scenario che si apre? A fare la differenza saranno, ovviamente, i fatti. Il primo – come ricorda il World Energy Outlook dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), reso pubblico a Londra proprio mentre i due leader parlavano a Pechino – sta in una cifra facile da ricordare: mille miliardi di tonnellate di CO2. Si tratta del budget ancora disponibile nel portafoglio dell’umanità.
Una volta emesse nell’atmosfera, una volta «spese», non ci sarà più la possibilità di stabilizzare l’aumento delle temperature entro due gradi, il minimo per evitare guai seri sul fronte ambientale. Secondo l’Iea, anche tenendo conto degli impegni politici di riduzione presi fino all’altro giorno dai governi mondiali (in particolare Cina, Usa, Ue e India) il «tesoretto» di CO2 sarebbe esaurito intorno al 2040. Dopo di che le emissioni dovrebbero scendere a zero da un giorno all’altro, cosa praticamente impossibile.
Ebbene, ciò che si ricava dal confronto tra gli impegni di Cina e Usa e le stime fatte in tempo reale da qualche economista Iea dopo gli annunci, è che i nuovi accordi di Pechino non sarebbero ancora sufficienti a scongiurare lo «sforamento» del budget. L’impegno cinese di arrivare al punto massimo di emissioni nel 2030 resta abbastanza misterioso: l’Iea prevedeva già il raggiungimento di un plateau intorno a quell’anno, e quindi il miglioramento resta tutto da valutare.
fare tai chi a pechino in mezzo allo smog
L’impegno di Obama, invece, costituirebbe un bel passo in avanti: meno emissioni del 26-28% contro una stima attuale del 16%. Se si traducesse in realtà funzionerebbe anche da potente traino sugli altri Paesi. Non solo in vista della conferenza di Lima nel mese prossimo ma, soprattutto, in vista di quella di Parigi di dicembre 2015, che dovrebbe portare a un nuovo trattato internazionale vincolante come quello di Kyoto. Curioso: la Cina è sempre rimasta fuori dagli accordi sul clima, mentre gli Usa firmarono Kyoto nel 1997 ma sia Bill Clinton che George W. Bush non lo inviarono mai al Congresso per la ratifica. Quest’ultimo, anzi, nel 2001 lo affossò definitivamente.
Va anche detto che solo poche tra le conferenze sul clima (Cop, Conference of the parties) che si sono susseguite dopo il summit di Rio de Janeiro nel 1992 e l’esordio a Berlino nel 1995 sono state fruttuose. Dopo la numero 3 a Kyoto si è discusso fino al 2005, quando a Montreal (Cop 11) il protocollo è entrato in vigore grazie all’adesione della Russia. È dal 2007 (Cop 13 a Bali) che si parla della «road map» per un nuovo trattato (Kyoto è scaduto nel 2012). L’accordo era atteso a Copenaghen nel 2009 (Cop 15), ma niente. Cancun, Durban, Doha, Varsavia (da 16 a 19) non sono servite a molto. Dopo Lima (20) sarà la volta di Parigi (Cop 21). Ultima spiaggia? Il capoeconomista dell’Iea, il turco Fatih Birol, ha pronto lo slogan per dare il senso dell’urgenza: «Last chance in Paris». Ma non è un film.
barack obama e xi jinping a pechino
3. “L’ORDINE DI XI: BLU APEC (BELLO MA NON DURA)”
Guido Santevecchi per “il Corriere della Sera”
Lo hanno chiamato «Blu Apec»: il colore straordinario del cielo di Pechino nei giorni del vertice. Xi Jinping aveva ordinato il cielo blu. Bisognava disperdere lo smog che soffoca la capitale. Chiusi 2.445 cantieri e 2.386 fabbriche tra le più inquinanti nel raggio di 200 km; vacanza in scuole e uffici pubblici. «Blu Apec» nel linguaggio dei ragazzi è diventato subito sinonimo di temporaneo. «Amore Blu Apec», per l’incontro di una notte. «Amore Smog Dicembre», quello appiccicoso che ti avvolge. «Lo so, il blu è bello ma non può durare», ha ammesso Xi. A mezzanotte le fabbriche sono state riavviate. Si aspetta l’Amore Smog.
aree piu inquinate degli stati uniti
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