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“L’ATMOSFERA DELLE CENE NEWYORCHESI È CUPA, PESSIMISTA, ALLARMATA” – FEDERICO RAMPINI RIVELA I TORMENTI DELLE L’ÉLITE DI SINISTRA AI TEMPI DI TRUMP, CHE URLANO AL FASCISMO E BLATERANO DI TRASFERIRSI ALL’ESTERO: “I MIEI AMICI LETTERATI NON SI RENDONO CONTO CHE I DISCORSI SULL’AUTOESILIO CONFERMANO I PEGGIORI PREGIUDIZI CONTRO LE ÉLITE. L’OPERAIO METALMECCANICO DEL MICHIGAN CHE HA VOTATO PER TRUMP TROVA LA CONFERMA CHE LA SINISTRA ORMAI RAPPRESENTA I PRIVILEGIATI” – CROZZA IMITA RAMPINI: “DA QUANDO SI È INSEDIATO TRUMP I MIEI AMICI INTELLETTUALI FANNO COLAZIONI CUPE, BRUNCH LUGUBRI…” - IL DAGO FLASH - VIDEO
Estratto dell’articolo di Federico Rampini per www.corriere.it
DONALD TRUMP PARLA DALLA TRUMP TOWER DI NEW YORK
È il momento di decretare che l’America è diventata una dittatura fascista? Bisogna fare le valigie ed emigrare altrove? Questo è il tenore della conversazione quotidiana in alcune parti del Paese. Minoritarie, ma influenti e visibili. Intellettuali, artisti, giornalisti e scrittori, gente di spettacolo: l’élite che spesso domina la sfera del discorso pubblico, scrive sui giornali, fa televisione e cinema.
Sono ambienti che frequento da sempre, anche per contiguità professionale, a New York e in California, i due Stati sulla East e West Coast dove ho vissuto e dove vivo, le due roccaforti storiche della sinistra americana.
Dopo una serie di cene tra il Village e Soho, nell’Upper West Side o a Tribeca, posso raccontarvi la conversazione dominante. In una di queste cene la padrona di casa, una giovane donna che appartiene alla Jewish community, un’ebrea di sinistra e quindi anti-Netanyahu oltre che anti-Trump, mi ha dato questa sintesi efficace: «Tra amici abbiamo stabilito i tre criteri-chiave che ci diranno quando abbiamo smesso definitivamente di essere una democrazia, e siamo entrati in un regime fascista.
Primo: quando cominceranno ad arrestare i giornalisti. Secondo: quando se la prenderanno con noi ebrei. Terzo: quando si capirà che quelle del 5 novembre sono state le ultime elezioni».
DONALD TRUMP PARLA DALLA TRUMP TOWER DI NEW YORK 1
Ho provato a sollevare qualche dubbio. Sulla museruola al giornalismo. La stampa anti-trumpiana mi sembra scatenata, il New York Times e la Cnn non hanno modificato di una virgola la loro linea politica. Semmai, l’assenza di autocritica è il loro punto debole [...]
Un’altra obiezione riguarda l’antisemitismo. Fenomeno reale, gravissimo: però in America le aggressioni contro gli ebrei sono venute dall’estrema sinistra, dagli attivisti pro-Hamas mobilitati durante le occupazioni dei campus universitari.
Ma l’atmosfera delle cene newyorchesi è questa: cupa, pessimista, allarmata. Dopo «i tre segnali che il fascismo è arrivato», l’altro tema di conversazione è l’auto-esilio. Molti intellettuali che incontro nelle serate newyorchesi parlano di lasciare il loro Paese e trasferirsi all’estero (definitivamente, o almeno fino al «ritorno della democrazia»).
ROBERT DE NIRO CONTRO TRUMP - FUORI DAL TRIBUNALE DI NEW YORK
Alcuni hanno già piani precisi, date e luoghi. Fra le destinazioni favorite di questo esodo c’è proprio il nostro Paese. Non perché amino il governo Meloni, anzi quello sarebbe una controindicazione. Il fatto è che molti dei miei interlocutori hanno case di villeggiatura in Toscana o in Umbria, in Liguria o sul Lago di Como. L’altra destinazione favorita è la Francia: Parigi, Provenza e Costa Azzurra. Stesso discorso: sanno che un giorno o l’altro pure la Francia potrebbe avere un governo di destra, però hanno casa da quelle parti.
I miei amici letterati non si rendono conto che i discorsi sull’autoesilio confermano i peggiori pregiudizi contro le élite. L’operaio metalmeccanico del Michigan che ha votato per Trump, se mai venisse a conoscenza di quel che si dice nelle cene al Village e nei salotti letterari, troverebbe la conferma che la sinistra ormai rappresenta soprattutto i privilegiati, quelli che si possono permettere case di villeggiatura in Europa.
maurizio crozza imita federico rampini - fratelli di crozza
L’ex immigrato latinoamericano o indiano, che ha votato Trump per difendere valori tradizionali e perché disapprova l’immigrazione illegale, si sentirebbe ancora più distante dalle celebrity di Manhattan. Il reduce che ha indossato la divisa militare riconoscerebbe in questi discorsi la vena anti-patriottica, anti-americana, di chi è pronto ad abbandonare il proprio Paese se non si sente rappresentato dal governo di turno.
A me invece tutto questo sa di déjà vu: sentii fare gli stessi discorsi nel dicembre 2000 quando vivevo a San Francisco e ci fu l’elezione «rubata dalla Corte suprema» (Bush-Gore), poi nella primavera 2003 quando Bush invase l’Iraq. Molti amici californiani vent’anni fa parlavano di lasciare l’America. Pochissimi lo hanno fatto davvero.
proteste contro donald trump a new york
Qualcuno si è trasferito in Florida, per pagare meno tasse in un paradiso fiscale governato dai repubblicani… Per darvi un quadro veritiero dell’atmosfera che respiro oggi a New York, però, devo aggiungere che c’è un pessimismo anche a destra. In un certo mondo conservatore e liberal-repubblicano, o ex repubblicano ma anti-trumpiano, gli eventi degli ultimi giorni (Ucraina, dazi) hanno creato sconforto. [...]
maurizio crozza imita federico rampini - fratelli di crozza
maurizio crozza imita federico rampini - fratelli di crozza
maurizio crozza imita federico rampini - fratelli di crozza
donald trump con elon musk all incontro di ufc al madison square garden di new york
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