DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Valeria Costantini per "www.corriere.it"
«Sono all’ultimo vagone, arriva un uomo, urla, cerca un medico. Non ci penso due volte a farmi avanti e il muro di gente che c’è sul treno si apre di colpo per farmi passare». Carlo Santucci, «camice bianco» romano, non vuole sentirsi definire un eroe, ma il suo massaggio cardiaco di ben 40 minuti ha salvato la vita a una giovane mamma toscana.
«È vero, sono un dottore. Ma una manovra così, dopo aver fatto un corso, la possono fare tutti» dice il trentatreenne che «solo per un caso fortuito», il pomeriggio del 27 agosto scorso, era proprio su quella ferrovia che da Lienz (Austria) porta i turisti verso Dobbiaco, Alto Adige. In vacanza a Cortina con alcuni amici, il giovane dottore non voleva nemmeno prenderlo quel convoglio.
«Ero stanco, avevo appena percorso 40 chilometri in bici, ma volevo rifarli anche al ritorno. Sono uno sportivo e questo, forse, ha fatto la differenza nell’intervento», racconta. Lo fa tutto d’un fiato, come se stesse ancora lì, a premere le mani sul petto di una sconosciuta, a contare il numero delle compressioni.
Sono le 17.30, il treno strapieno, i viaggiatori in piedi, poi le ripetute grida di aiuto: «C’è un medico?». «Effetto Mosè», scherza il giovane chirurgo oculista, dipendente di una clinica di Roma: le persone d’improvviso si «aprono», gli fanno spazio. Poi inizia la battaglia contro la morte. La donna è a terra, nel primo vagone, il marito disperato, intorno il caos assoluto.
«Per prima cosa chiedo informazioni, è la prassi: se la signora prende farmaci, se sia malata» riassume, lucido, il medico, docente proprio in tecniche di primo soccorso, un lungo passato di turni in ambulanza. Una «vocazione» l’insegnamento, oltre al lavoro in corsia da «precario della salute» — come dice lui — che per anni ha cercato, inutilmente, un impiego.
In quel vagone torrido, circondato da persone che urlano e danno consigli, il dottore-ciclista «svuota la testa» e si concentra su una sola immagine: la figlia della donna, sei anni, seduta davanti a lui, che piange. «Da sportivo sono abituato a isolarmi — si scusa quasi del suo sangue freddo —, dentro di me pensavo solo alla grande ingiustizia di una mamma che poteva essere strappata ai suoi cari».
«Niente defibrillatore a bordo, fatto gravissimo con tutta quella gente», né un kit da pronto soccorso. Carlo inizia le manovre di rianimazione cardio-polmonare e, nella mente, conta: 30 compressioni toraciche e due insufflazioni. Ripete tutto per 40 minuti, senza fermarsi mai: «Non mi sono reso conto del tempo che passava, avevo solo i miei muscoli e la concentrazione». E, alla fine, quel segno che ogni medico attende, il «rasping», la fame d’aria, la donna respira di nuovo.
Santucci, madido di sudore, si ferma tra gli applausi dei passeggeri e consegna la sua paziente ai colleghi dell’elisoccorso, atterrato a pochi metri dal treno. «Uno dei rianimatori mi dice “senza di te era morta”, io so solo che questo è il motivo per cui facciamo questo lavoro: per dare continuità alla vita» si schermisce il professionista.
È in contatto costante con la famiglia che esiste ancora grazie al suo gesto: la donna, colta da arresto cardiaco, è stabile. «Il marito mi ripete che non sa come ringraziarmi, ma io gli ho ribadito che a breve voglio solo una cosa: una foto con mamma e figlia che giocano felici» dice Carlo, che già in passato fuori servizio ha salvato qualcuno. Due anni fa in Toscana praticò la manovra di Heimlich a un bambino che stava soffocando in un ristorante.
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