andrea de benedetti cosi non schwa limiti ed eccessi del linguaggio inclusivo

GIÙ LE MANI DALL’ITALIANO – L’ILLUSIONE DELL’INCLUSIONE ATTRAVERSO LA SCHWA RISCHIA DI IMPORRE LIMITI E FORZATURE ALLA NOSTRA LINGUA. ANDREA DE BENEDETTI NEL LIBRO “COSÌ NON SCHWA. LIMITI ED ECCESSI DEL LINGUAGGIO INCLUSIVO” SPIEGA PERCHÉ NON BISOGNA PERMETTERE DI ASSOGGETTARE UN’INTERA LINGUA, PATRIMONIO DI TUTTI, A UN FINTO PRINCIPIO: NON SOLO RIPORTA L’ITALIANO INDIETRO DI DUE MILLENNI VISTO CHE, CON LA SEMPLIFICAZIONE DELLE STRUTTURE PORTANTI, SI È ELIMINATO IL NEUTRO. MA ANCHE PERCHÉ…

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Massimo Arcangeli per “il Messaggero”

 

Cosi non schwa Limiti ed eccessi del linguaggio inclusivo andrea de benedetti

C'è un grosso equivoco quando si parla di presunti diritti alla rappresentazione di ogni sé nel pacchetto delle norme che regolano gli usi linguistici di una comunità piccola o grande di persone. La questione di fondo, sostiene Andrea De Benedetti in un libello appena uscito per Einaudi, non chiama in causa «l'inclusione, i diritti delle donne e delle persone transgender, la lotta al patriarcato, il progresso morale dell'umanità, bensì l'egemonia sui significanti, la pretesa di far combaciare il codice linguistico con quello etico, l'idea che la lingua debba essere al servizio delle identità prima ancora che delle comunità» (Così non schwa. Limiti ed eccessi del linguaggio inclusivo, p. 10 sg.).

 

IL DIRITTO Nel 2017 la Corte costituzionale federale tedesca, in base a un principio di tutela della personalità, ha sancito il diritto, per intersessuali e genderless, di veder riconosciuto il loro stato ibrido su un certificato di nascita, e dal 2019 è buona pratica che un annuncio di lavoro, in aggiunta alla dicotomia fra maschile (m, männlich) e femminile (w, weiblich), contempli una terza opzione: altro (a, anders), differente, diverso (d, divers), di genere neutro (gn, geschlechtsneutral), intersessuale (i, intersexuell) o, ancora, una x o un asterisco.

 

Andrea De Benedetti

ASSOGGETTAMENTO Fin qui nulla da eccepire, ci mancherebbe. Quando però la rivendicazione della propria identità non binaria si trasforma in una manovra di irreggimentazione, nel peccato di volontà di un assoggettamento a una dittatura del segno che pretende d'imporsi perfino in usi pubblici o ufficiali, la faccenda prende un'altra piega: se ne accogliamo «fino in fondo le implicazioni etiche», scrive ancora De Benedetti, il «principio di lasciar sempre decidere l'altro come vuole essere chiamato () può talora entrare in collisione con l'esigenza di trovare un codice condiviso, prestandosi ad applicazioni che magari non ci piacerebbero (). Soprattutto dovremmo accettare il rischio di una proliferazione potenzialmente infinita di definizioni e magari anche di desinenze per una pletora altrettanto infinita di identità, perché chiunque, a quel punto, potrebbe a buon diritto rivendicare per sé uguale trattamento» (p. 88 sg.).

 

Cosi non schwa Limiti ed eccessi del linguaggio inclusivo andrea de benedetti

Una pericolosa deriva, spacciata per anelito d'inclusività, vorrebbe riformare l'italiano a suon di e rovesciate (lo schwa, per l'appunto) pretendendo di sottomettere l'idioma nazionale, patrimonio di un'intera collettività, a chi è intenzionato a scardinarle con la generalizzazione di inammissibili usi teratologici.

 

Perché non si tratta solo di decidere tra un maschile sovraesteso (autore), un femminile caratterizzante (autrice) o un neutro inclusivo (autor*). Tempo fa, nella trascrizione di un'intervista giornalistica, l'eco-filosofo americano Timothy Morton ha reclamato, per rispetto della sua identità non-binary, la giusta marca di genere, e l'intervistatrice l'ha così riportato nel testo come filosof* (leggasi l'asterisco come una e rovesciata). Un nome in italiano, come in altre lingue si porta però dietro una serie di accordi grammaticali (fra articoli, preposizioni articolate, pronomi, aggettivi e participi passati), e se Morton avesse preteso l'applicazione sistematica del neutro tutte le volte che nell'intervista si fosse fatto riferimento a lui, ne sarebbe magari potuta uscire, con lo schwa, una premessa di questa fattura: L* filosof* non binari* american* Timothy Morton è stat* irremovibile, ha voluto che ci rivolgessimo a l*i come stiamo facendo.

 

inclusione

Una seconda questione rilevante, quando parliamo dello schwa, investe un elemento cardine nel funzionamento di una lingua che si affidi agli usi regolati e scambievoli dei suoi parlanti: il risparmio, con la conseguente semplificazione nel tempo delle sue strutture portanti (ortografiche, fono-morfologiche, sintattiche). È per un principio di naturale economia, riscontrato nell'evoluzione di un'infinità di lingue, se nel passaggio dal latino all'italiano il genere neutro, sopravvissuto solo in qualche relitto (nel pronome dimostrativo ciò, nell'uscita in -a di plurali come uova o braccia, ecc.), si è estinto insieme ad altri tratti morfologici. Col suo recupero, e De Benedetti fa bene a rimarcarlo, la nostra lingua arretra «di quasi due millenni, complicando i paradigmi e aggiungendo regole là dove i parlanti erano riusciti, con grande fatica, a semplificarle» (p. 49).

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PUNTO DEBOLE Per il linguista Luca Serianni lo schwa, pur pronunciabile (e realmente pronunciato, nei goffi tentativi di qualche improvvisato schwaista di sperimentarlo oralmente), avrebbe inoltre il solito punto debole: «vale solamente per lo scritto, non avendo un corrispettivo univoco nel parlato, e un idioma consiste innanzitutto in una lingua parlata». Beatrice Cristalli, studiosa molto attenta ai linguaggi della modernità, ritiene l'inclusione grammaticale un problema senza soluzione. E aggiunge: «Credo vada bene così. Ognuno di noi ha il dovere di costruire, sperimentando e sbagliando, il proprio modo di comunicare, che nasce dalla spinta di migliorarsi come essere umano». 

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