DAGOREPORT – REGIONALI DELLE MIE BRAME! BOCCIATO IL TERZO MANDATO, SALVINI SI GIOCA IL TUTTO PER…
Elisabetta Rosaspina per corriere.it
Quando Marco Zennaro è entrato due giorni fa nella sua nuova cella, dopo 8 ore di attesa in una camera di sicurezza del tribunale e un’ora e mezza di viaggio in un cellulare della polizia nell’afa da 50 gradi di Khartum, i suoi «coinquilini» gli hanno raccontato poi di aver visto «un uomo morto»;
e si sono presi cura di lui forse con più umanità della sua scorta. È il primo racconto in presa diretta che arriva dal carcere del Sudan dove continua la prigionia dell’imprenditore veneziano di 46 anni, accusato di frode e trattenuto nel paese da poco meno di undici settimane.
La controversia riguarda una partita di trasformatori elettrici che la ditta di Zennaro ha venduto al suo distributore locale, Ayman Gallabi, che — a sorpresa — l’aveva ritenuta non conforme al contratto. Marco Zennaro è andato a Khartum nella seconda metà di marzo per comprendere le ragioni della contestazione.
Da allora non è più riuscito a fare ritorno in Italia, passando da una cella del commissariato a quella della prigione, nonostante un primo rimborso di 400 mila euro concordato con Gallabi, il cui corpo però è stato poi ritrovato morto nel Nilo, il 22 maggio.
E nonostante l’ambasciatore italiano, Gianluigi Vassallo, e la Farnesina stiano cercando una composizione con i clienti finale della fornitura e la società elettrica sudanese Sedc, diretta da un parente stretto del generale Mohammed Dagalo, vice presidente del governo di transizione in Sudan.
Ecco il resoconto che Marco Zennaro è riuscito a far arrivare alla famiglia in Italia nelle ultime ore: «Sono rimasto 8 ore nel carcere del palazzo della corte dove non sapevo nemmeno di doverci andare. Uno stanzino sottoterra al buio. Senz’acqua né gabinetto né modo di comunicare con l’esterno. Mi era stato detto che era per portarmi in albergo. Ma la corte ha deciso il contrario: carcere. Mi viene detto di salire su una camionetta di latta in 40 persone per un viaggio di 1 ora e mezzo nel traffico di Khartoum. Tutti ammassati. Un forno a 50 gradi».
«Arrivo in carcere, ho paura — prosegue il racconto di Zennaro — Non so cosa mi aspetta. Nessuno sa nulla, non ho telefono e nessuno parla inglese. Mi hanno fatto attraversare il settore degli omicidi, spacciatori e criminali: un inferno di 700-800 corpi ammassati uno a ridosso dell’altro. Alla fine mi mettono nella sezione di reati penali con giustificazione finanziaria. Ci saranno 200 persone.
Mi hanno preso in cura tutti i miei nuovi compagni perché hanno detto di aver visto un morto. Sono ostaggio di un sistema senza regole. Vi prego riportatemi a casa dalla mia famiglia».
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