DAGOREPORT – VINCENZO DE LUCA NON FA AMMUINA: IL GOVERNATORE DELLA CAMPANIA VA AVANTI NELLA SUA…
1.”L’Isis mostra il volto. ‘Cameron manda i tuoi. Torneranno nelle bare”
Paolo Mastrolilli per La Stampa
Ha una faccia e un nome, adesso, l’orrore dell’Isis. Un vero nome e cognome, che l’intelligence britannica ha potuto attribuire a un terrorista che si mostra col viso scoperto in un video di minaccia contro il premier Cameron. Una svolta per capire meglio l’origine di questo gruppo, i suoi collegamenti internazionali, e magari fermare i traffici che lo aiutano.
sostenitori di isis festeggiano in siria
Venerdì l’Isis ha scandalizzato e sfidato ancora una volta la comunità mondiale, pubblicando il filmato in cui si vedeva la decapitazione del volontario britannico Alain Henning. Nello stesso video il killer annunciava che la prossima vittima della sua violenza cieca sarà l’ex soldato americano Peter Kassig, nonostante nel frattempo si sia convertito all’Islam. Prima di diffondere questo filmato, però, il gruppo terroristico ne aveva emesso un altro, in cui un miliziano attaccava direttamente il premier: «Se sei un uomo, Cameron, manda i tuoi soldati sul terreno di guerra. Torneranno indietro in una bara».
L’uomo aveva il volto scoperto e un chiaro accento inglese, e quindi l’intelligence ha subito iniziato a studiare le immagini. Quindi ha identificato il terrorista come Abu Saeed al-Britani, ex dipendente di un supermercato che abitava nel Sud della Gran Bretagna. È una svolta significativa, non solo perché consente di dare la caccia al miliziano sapendo chi cercare, ma anche perché penetrando l’ambiente da cui è partito per la Siria, si potranno raccogliere informazioni preziose sui suoi complici e su come opera l’Isis, in particolare nella campagna per il reclutamento dei propri membri in Europa.
I risultati di queste indagini, però, difficilmente arriveranno in tempo per aiutare la liberazione di Kassig, che il boia di Henning ha indicato come la prossima vittima, se nel frattempo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna non interromperanno i raid aerei e la campagna lanciata per fermare l’Isis in Iraq e in Siria. La Casa Bianca ha confermato che Peter è nelle mani dei terroristi, promettendo di fare tutto il possibile per liberarlo. Anche i suoi genitori hanno registrato un video, chiedendo clemenza.
Kassig è un ex Ranger, ossia una delle forze speciali americane più prestigiose e operative. Ha 25 anni e nel 2007 era stato schierato in Iraq. Al ritorno dalla guerra aveva deciso di riprendere gli studi, iscrivendosi alla Butler University. Quindi era partito per il Libano, proprio nell’ambito dei corsi accademici seguiti, per migliorare la sua conoscenza del conflitto siriano. Laggiù era rimasto colpito in particolare dalle terribili condizioni di vita dei rifugiati siriani, e aveva deciso di aiutarli.
Così aveva fondato la Sera, Special Emergency Response and Assistance, un’organizzazione finalizzata proprio alla raccolta di aiuti per i profughi. Durante questa attività si era interessato all’Islam, al punto di convertirsi e cambiare nome. Oggi, infatti, si fa chiamare Abdur Rahman. Questo però non è bastato a convincere l’Isis, che lo ha rapito e detenuto fino a oggi, minacciando adesso di decapitarlo come prossima vittima della rappresaglia contro gli Usa e la Gran Bretagna.
2. “Lo jihadista del supermarket sfuggito due volte all’arresto “
Alberto Simoni per “La Stampa”
Nel gennaio 2014, Abu Saeed Al Britani si chiama ancora Omar Hussain. Vive a High Wycombe, cittadina a nordovest di Londra, centomila abitanti e sei moschee. Prega in quella di Totteridge, frequenta gruppi salafiti, non nasconde un certo radicalismo. Un vicino di casa lo descrive come severissimo con le donne, le vorrebbe vestite secondo le più rigide regole dell’Islam, velo integrale e nessun ciuffo di capelli in vista, «altrimenti Allah le punirà», ripeteva agli amici.
I suoi comportamenti attirano l’attenzione dell’intelligence e della polizia locale, il rischio terrorismo di matrice islamica è compagno di viaggio costante per gli 007 inglesi da tempo. I quattro attentatori della metropolitana a Londra nel 2005 erano inglesi benché di discendenza pachistana, la lista dei «foreign fighters» di nazionalità inglese unitisi agli estremisti nella guerra in Siria è lungo, almeno trecento, forse di più. Il problema è rintracciarli, tenerli d’occhio quando escono dall’isola. E pure quando tornano.
Su Omar Hussain i riflettori si accendono forti nel giugno del 2013. È in coda all’aeroporto di Heathrow, in mano un biglietto per il Pakistan. La polizia lo ferma, niente decollo, è sospettato di volersi aggregare ai salafiti siriani. Basta per rispedirlo ad High Wycombe, la sua casa è oggetto di perquisizioni della polizia, qualche settimana dopo la mancata partenza Hussain viene ancora fermato. Ma subito rilasciato senza nessuna accusa. In gennaio la fuga definitiva. «Vado a pregare in moschea», disse alla madre. Non l’ha più rivisto. Se non nel video nel quale con un Ak-47 accanto (stile Bin Laden più che Al Baghdadi) insulta Cameron e minaccia morte e distruzione in Inghilterra.
Alla moschea di Totteridge si trincerano nel silenzio. È vero, ammettono ai media inglesi, due anni fa Hussain aveva conosciuto salafiti e si era radicalizzato ma, spiega Zarif Jawed, «non è qui, nel nostro edificio» che la sua fede ha imboccato una deriva violenta. Quella cieca follia e quel sogno di abbracciare la guerra santa che deve aver avuto un ruolo nel suo licenziamento. Lavorava come agente di sicurezza in un centro commerciale, Morrisons. Tanto che per gli amici - e la stampa - era diventato «Supermarket jihadi».
Non è chiaro se l’abbiamo cacciato o abbia preferito lui stesso dire addio all’impiego. Fatto sta che poche ore prima di abbandonare il posto pensò bene di danneggiare l’autovettura del manager. Alcuni amici lo dipingono come introverso al limite del sociopatico, i vicini glissano: «Una famiglia normale, ora distrutta, la madre in preda a crisi di pianto».
Abu Saeed al-Britani, questo ormai il suo nome di combattente nel nome del Califfo, però sembra «rinato» in Siria. Spaccone quasi. Poco dopo la decapitazione di Foley, chiamò un amico in Inghilterra, si vantò. «C’ero anch’io....la testa l’abbiamo messa là». Godeva, rideva, spiegava come si fa e che l’avrebbe fatto presto anche lui. Poco dopo addirittura si fece intervistare dalla «Bbc2».
Non come Hussain, nemmeno come Abu Saeed, ma come Awlaki (come l’imam yemenita ucciso da un drone Usa nel 2011). Rideva delle decapitazioni, «sì c’erano tre o 4 ragazzi sgozzati», gonfio di orgoglio per le gesta dell’Isis, minaccioso soprattutto: «Odio l’Inghilterra, intendo tornare e metterò una bomba da qualche parte». Il video di venerdì sera aggiunge un tassello alla sua strategia. Mostrandosi senza maschera, Abu Saeed-alias Omar Hussain, altro non fa che ricordare agli inglesi che il nemico è in fondo in mezzo a loro (e a noi europei). E che la prima sfida sembra l’abbia vinta lui. Non è difficile immaginare che ieri a Downing Street qualcuno abbia alzato i toni: ma perché non l’avete arrestato?
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