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SALARI AMARI! – L’ITALIA È IL PAESE CHE HA REGISTRATO IL CALO DEGLI STIPENDI REALI PIÙ FORTE TRA LE PRINCIPALE ECONOMIE DEL MONDO. ALLA FINE DELLO SCORSO ANNO È STATO DEL 7% – NEL 2024 I SALARI TORNERANNO AD AUMENTARE DEL 3,5% CONTRO UN’INFLAZIONE DEL 3% (QUINDI RESTERANNO SEMPRE BASSI) - IL MOTIVO? I CONTRATTI COLLETTIVI SONO FERMI A 5 ANNI FA, PRIMA DELLA GUERRA IN UCRAINA E PERFINO DEL COVID...
Estratto dell’articolo di Giuliano Balestreri per “la Stampa”
La sintesi dell'Ocse è una sentenza che fa male: «L'Italia è il Paese che ha registrato il calo dei salari reali più forte tra le principali economie Ocse» con un calo, alle fine dello scorso anno «del 7% rispetto al periodo precedente la pandemia».
Ma se in qualche modo la maglia nera indossata nel 2022 era già nel passato, a preoccupare è la situazione attuale le prospettive per l'immediato futuro: «La discesa - prosegue l'Ocse nel suo ultimo rapporto sull'occupazione - è continuata nel primo trimestre del 2023, con una diminuzione su base annua del 7,5 per cento».
E per iniziare a recuperare qualcosa, in termini reali, bisognerà aspettare l'anno prossimo: quest'anno i salari nominali aumenteranno del 3,7% a fronte di un'inflazione che dovrebbe attestarsi al 6,4%; nel 2024, invece, la crescita degli stipendi sarà del 3,5% contro una dinamica dei prezzi al 3 per cento. Abbastanza perché la maglia nera per i salari tra le grandi economie globali resti saldamente - e tristemente - sulle spalle dell'Italia.
[…] Sul perché l'Italia arranchi sempre, Garnero ha le idee chiare. A cominciare dai limiti della contrattazione collettiva «che sta reagendo con ritardo all'inflazione». Basti pensare, d'altra parte, che il 50% dei contratti è scaduto da oltre due anni e quello del commercio - tra i più importanti per numero di dipendenti - dal 2019. «In Italia - prosegue l'economista - dovrebbero essere rinnovati ogni tre anni, mentre in Francia ogni anno e in Germania ogni due. Questo spiega come mai i nostri salari reali siano spesso più deboli».
A questo scenario, poi, si aggiunge il fatto che l'Italia non si ferma mai: «All'estero, dal Regno Unito alla Norvegia, fino alla Francia, sindacati e lavoratori si mobilitano per giorni per ottenere il rinnovo dei contratti». Come a dire che gli scioperi generali a sé stanti sono quasi inutili, mentre gli altri Paesi sono capaci di incrociare le braccia per 3 o 4 giorni per costringere aziende e governi a sedersi al tavolo delle trattative.
L'elefante nella stanza, però, resta la ventennale stagnazione del Pil: «Se l'economia non cresce, i salari restano fermi al palo». L'aumento dei salari non rischia di infiammare l'inflazione? «Se aumentassero dello stesso livello della produttività sì ma ora dobbiamo costruire un cammino di rientro del potere d'acquisto di medio periodo. Un sentiero graduale che passi dall'aumento della produttività». […]
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