L'UMANITÀ AI MARGINI DELLA SOCIETÀ - TOSSICI, UBRIACHI, TRANS, PUTTANE… AL DIAVOLO I REALITY, LE FOTO “REALI” DI ANDERS PETERSEN

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Dagotraduzione dell'articolo di Carole Naggar per "Time"

Il fotografo svedese Anders Petersen è uno dei più grandi fotografi europei e il suo primo libro "Cafè Lehmitz" (pubblicato nel 1978) è considerato uno dei fondamenti della storia della fotografia europea.
La Biblioteca Nazionale di Parigi, dal 13 novembre, ospiterà una retrospettiva su di lui composta da 320 fotografie scelte dal suo immenso archivio.

Dopo gli inizi come pittore e scrittore di racconti, Petersen si dedica alla fotografia grazie a un'immagine di Christer Strömholm. Cominciò a voler essere più vicino alle persone e che dipingere e scrivere erano attività troppo solitarie. Per Petersen infatti la sua fotografia "è qualcosa che riguarda l'incontro con le persone, l'identificazione, la condivisione, l'ascolto, il diventare parte di loro, essere trasparenti e imparare"

Nel 1967 ha iniziato a fotografare i clienti abituali di un bar di Amburgo a tarda notte (prostitute, travestiti, ubriachi, amanti, tossicodipendenti). Al Café Lehmitz lavorò per tre anni. Anche queste persone erano spesso indigenti e disperate, ha trovato in loro calore, la tolleranza e la sincerità. E queste qualità si riflettono nei suoi ritratti forti e teneri: come quello di Ninna che si avvolge nel suo cappotto di pelliccia con le mani tremanti o Kleinchen aggrappato alla sua partner di ballo.

Da allora, Petersen ha continuato a pubblicare più di venti libri che possono essere visti come diari privati. Tra le sue fotografie più suggestive sono quelle fatte in ambienti chiusi: carceri, asili, case di riposo.

Nel carcere dove ha lavorato nel 1984, per esempio, ha ritratto un uomo nella sua vasca da bagno, il suo corpo bianco goffo e piegato, troppo grande per occupare lo spazio, come una metafora della sua situazione; nella sua serie su un manicomio (1995), un paziente è sdraiato in un campo di fiori, trovando la pace nella natura, mentre altri lo guardano con occhi vuoti, immagini struggenti di solitudine.

Le sue esplorazioni ai margini della società divengono empatiche, ritratti emotivi di coloro che preferiremmo dimenticare. "La superficie è sopravvalutata" dice Petersen "io sono interessato a ciò che sta dietro e se sei un tipo curioso avere una macchina fotografica è un privilegio. . . Non avrei mai potuto passare il tempo in una prigione o un ospedale psichiatrico, se non avessi avuto questo strumento di lavoro. Mi interessava l'idea del tempo bloccato e il concetto di libertà, così ho imparato molte cose".

 

 

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