DAGOREPORT – CHI È STATO A FAR TRAPELARE LA NOTIZIA DELLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI? LE…
G. Fas. e A. P. per il "Corriere della Sera"
I dipendenti del Consorzio Venezia Nuova la ricordano per le sue telefonate. Continue. Per ogni genere di problema. Rosangela Taddei qualche volta chiamava suo marito, il grande timoniere del Mose, e lasciava che fosse lui a risolvere la questione del momento: il climatizzatore che non funziona, un acquisto importante da fare, il filippino da mettere in regola.... Ma più spesso alzava la cornetta per rivolgersi a questo o quell’impiegato.
Le carte dell’inchiesta veneziana sono piene di brogliacci che riassumono le richieste di Lady Mose: per esempio l’intercettazione del 15 marzo 2011. È lei che chiama certo Francesco D. e spiega: «Ho una perdita d’acqua a casa». E dall’altra parte: «Mando qualcuno».
Pochi giorni dopo, il 21, la signora Mazzacurati chiede invece al Consorzio un motoscafo «per accompagnare mia nipotina dal pediatra». E ancora: «Mi prenota per favore il ristorante per otto persone?». Poi quella faccenda del filippino da mettere in regola: il ragazzo lavora in nero a casa Mazzacurati e ha avuto altre offerte di lavoro.
La signora Rosangela ne parla con il marito e i due stabiliscono che è da assumere perché «sennò ce lo portano via». E, come sempre, ci pensa il Consorzio. Ed è sempre qualcuno del Consorzio che fa la coda dal medico al posto della moglie del «capo supremo».
Giovanni Mazzacurati si lascia convincere dalla moglie anche per un affare immobiliare: l’acquisto della casa da sogno da 230 metri quadrati in piazza di Spagna a Roma. Ma i soldi non ci sono, non tutti. E lui le dice «anche se non ce li abbiamo penso che mescolando dentro il Consorzio in una certa forma forse mi riesce....».
Dunque Rosangela Taddei sa benissimo che l’ente che avrebbe il solo compito di salvaguardare la Laguna usa fondi pubblici per fini decisamente privati. Ma non è la sola a chiedere una mano al Consorzio. Dalle carte emerge che, soprattutto quando all’Ente arrivavano grossi finanziamenti pubblici, tutti si affrettavano a chiamare l’ingegner Mazzacurati. Un esempio: il 18 novembre 2010 il Cipe assegna al Consorzio 230 milioni di euro per il Mose lasciando in bianco il resto del «sistema Venezia».
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Non un centesimo al Comune. A quel punto nell’ordine, alzano la cornetta: Giorgio Orsoni («Non è che in quei milioni ci sia qualche spazio?»), Paolo Baratta, presidente della Biennale (che si informa: «Per Orsoni non c’è nulla?») e Paolo Costa, presidente dell’autorità portuale che parla con l’ingegnere del progetto offshore, la piattaforma del Lido di Venezia dove attraccano le Grandi Navi («ho bisogno proprio di una pagliuzza per avviare il tutto»). Scrivono gli inquirenti: «La pagliuzza sono 5 milioni».
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