
DAGOREPORT - LA CAPITALE DEGLI AFFARI A MISURA DUOMO, A CUI IL GOVERNO MELONI HA LANCIATO L’ANATEMA…
LAPO, E TUTTO IL RESTO E’ NAJA! LAPO ELKANN RACCONTA IL SUO SERVIZIO MILITARE DA ALPINO A CUNEO, TRA MARCE E PIATTI DA LAVARE: “QUANDO SI E' SPARSA LA VOCE QUALCUNO MI HA PRESO DI MIRA. C’ERANO GERARCHIE E REGOLE, BISOGNAVA STARE AL GIOCO. MI HANNO 'SBRANDATO'. UN SOTTUFFICIALE MI CHIAMAVA AGNELLINO, HO DOVUTO IMPARARE A FARMI RISPETTARE MA CI SONO RIUSCITO - MIO NONNO GIANNI SPERAVA CHE DIVENTASSI UN UFFICIALE MA MI HANNO SCARTATO PER I TATUAGGI. UN COLPO DI FORTUNA E COSÌ SONO DIVENTATO UNA 'PENNA NERA', COME L’AVVOCATO INTERISTA PEPPINO PRISCO, CHE STIMAVO MOLTISSIMO, NONOSTANTE LA DIFFERENTE FEDE CALCISTICA"
Massimo Massenzio per il “Corriere della Sera” - Estratti
«Sono orgoglioso di essere stato un alpino di leva, un’esperienza formativa che mi ha lasciato ricordi meravigliosi e amicizie importanti. Domani sarei dovuto andare al raduno con i miei commilitoni, ma gli impegni lavorativi non me lo permettono. Però sarò lì con il cuore».
Lapo Elkann, che ha fatto la «naja» con chi scrive fra il 1999 e il 2000, non parteciperà alla 96esima Adunata nazionale degli Alpini, che fino a domenica richiamerà a Biella circa 400 mila persone da tutta Italia. Ma si concederà un tuffo nel passato con qualche videochiamata a distanza.
Come mai ha deciso di fare il soldato semplice?
«Sognavo di essere un alpino di truppa, senza privilegi. Mio nonno Gianni, invece, sperava che diventassi un ufficiale, ma alla “visita” mi hanno scartato per i tatuaggi. Un colpo di fortuna e così sono diventato una “penna nera”. Car a Belluno, poi a Cuneo, come Peppino Prisco, persona che ho stimato moltissimo, nonostante la differente fede calcistica.
E come Totò, anche se quella del “Principe della risata” forse è solo una leggenda. Infine l’ultimo periodo a Bousson, in montagna con il gruppo sciatori, sempre nella Taurinense. Di cui sono onorato di aver fatto parte»
(...) All’epoca non mi conosceva praticamente nessuno e in pochi associavano il mio cognome a quello degli Agnelli. Nei primi mesi di naja è stato così ed è stato un vantaggio.
Potevo essere uno come tutti gli altri. Poi la voce si è sparsa e non è stato più lo stesso. Qualcuno mi ha preso di mira, c’era un sottufficiale che mi chiamava “agnellino”, ho dovuto imparare a farmi rispettare, ma ci sono riuscito. Fu una grande lezione di vita, la naja ti insegna tanto, le differenze non esistono e a me ha permesso di crescere».
Cosa intende?
«Sono nato negli Stati Uniti e ho vissuto molto fuori dall’Italia, anche da privilegiato se vogliamo. E quindi per me è stato un onore avere vestito la divisa e avere servito la mia patria, anche se solo per dieci mesi.
Ho “capito” l’Italia, da nord a sud, chiacchierando con commilitoni calabresi, romani, trentini e piemontesi.
In camerata si parlavano mille dialetti, si cantavano inni di tutte le squadre di calcio. Non sono un militarista, sia chiaro, ma posso dire che a me la leva è servita moltissimo. Mi ha aiutato nella mia vita e mi ha permesso di incontrare persone di valore, dei «fratelli».
(…)
Ci sono state difficoltà?
«C’erano gerarchie e regole, bisognava stare al gioco. Mi hanno “sbrandato”, certo. E quando facevo male il letto — praticamente sempre all’inizio, poi ho imparato — dovevo fare qualche flessione. Però, ripeto, il clima è sempre stato di “fratellanza” e gli anziani, più che nonni, erano fratelli maggiori. I ricordi brutti sono quelli in mensa, invece. Era il servizio più duro, molto meglio marciare in montagna.
Una volta ero di turno per tutto il fine settimana. Avrei dovuto fare il piantone, ma non sarei potuto uscire dalla caserma alla sera. Allora cambiai il servizio con un commilitone per andare a vedere una partita di calcio con mio nonno e poi rientrare per il contrappello. Mi toccò lavare decine di teglie incrostate e centinaia di piatti.
I “Vueffebì”, come chiamavamo noi i volontari in ferma breve, me li lasciavano sporchi apposta. Avrei voluto reagire, ma non l’ho fatto e questa è stata un’altra lezione. Imparare a fare tutto e sopportare».
(…) Mi sono trovato a trasportare pezzi di mortaio su per le montagne, ma la fatica la facevamo tutti insieme. E poi alla sera ci raccontavamo la giornata. Io non ero il figlio di qualcuno o il nipote di qualcun altro. Ero Lapo e basta, con i miei difetti e i miei pregi. Ci sono stati momenti più duri, ma la vita è come l’oceano: un giorno c’è un’onda piccola, un altro grande, e tu devi imparare a surfarci sopra. E anche le cose che non mi sono piaciute mi hanno fatto diventare più forte».
A 25 anni di distanza lo rifarebbe il militare?
«Sì, senza dubbio. E a tutti i miei “frà’” che da domani si ritroveranno a Biella dico che di sicuro non mi perderò la prossima adunata. Sarà una bellissima festa per tutti».
DAGOREPORT - LA CAPITALE DEGLI AFFARI A MISURA DUOMO, A CUI IL GOVERNO MELONI HA LANCIATO L’ANATEMA…
PAROLIN È ENTRATO PAPA ED È USCITO CARDINALE - IN MOLTI SI SONO SBILANCIATI DANDO PER CERTO CHE IL…
DAGOREPORT – IL REFERENDUM ANTI JOBS-ACT PROMOSSO DALLA CGIL DI LANDINI, OLTRE A NON ENTUSIASMARE…
RISIKO FLASH! - CHE SI RACCONTAVANO DI BELLO, ALL'ORA DI PRANZO, IL BOSS DI UNICREDIT, ANDREA…
DAGOREPORT - L'ARDUO COMPITO DI MATTARELLA: FARE DA ARBITRO ALLA POLITICA ITALIANA IN ASSENZA DI…
DAGOREPORT - IN UNA MILANO ASSEDIATA DAI BARBARI DI ROMA, SI CELEBRA LA FAVOLOSA CAPITALE DEGLI…