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Francesco Borgonovo per “la Verità”
Alla fine sul grande schermo è riuscito ad arrivarci, anche se per fattura pare una fiction nemmeno troppo brillante, e non certo il film complesso che il delicato personaggio principale avrebbe meritato. In ogni caso, ecco qua: Gli anni amari, la pellicola di Andrea Adriatico su Mario Mieli, è in proiezione nelle sale italiane, e non si può dire che sia un successo.
Uscita il 2 luglio, in quattro giorni ha attirato appena 935 spettatori e incassato 6.528 euro (dati Cinetel). Ci vorrà ancora parecchio prima di riuscire anche solo a rientrare dall' investimento pubblico. Il film è prodotto da Rai cinema, assieme a Cinemare.
Il ministero dei Beni e delle attività culturali, nel 2017, lo ha considerato «di particolare qualità artistica» e lo ha sostenuto con 150.000 euro. Altro denaro è giunto dalla Regione Emilia Romagna, che ha erogato 105.374 euro di fondi.
In aggiunta, va considerato il contributo della Apulia film commission, che ha attinto per l' occasione al Fondo europeo di sviluppo regionale. Pur considerando il momento molto difficile per tutto il cinema italiano, non è un bel risultato, e non soltanto a livello commerciale.
Nel film, il personaggio di Mieli è ridotto a una sorta di macchietta, l' impostazione all' acqua di rose potrebbe risultare fastidiosa persino per gli estimatori dell' attivista morto nel 1983 ad appena trent' anni. Gli anni amari è un tentativo d' agiografia che trascura quasi del tutto il lato più sovversivo di Mieli, disinnescandolo e facendolo apparire come un militante appena eccentrico. Questo, del resto, è lo spirito del tempo. La battaglia «per i diritti» è intrisa di un buonismo livellante e stomachevole, privo di ogni profondità.
Molte delle teorie di Mieli, oggi, sono divenute di massa, eppure il suo pensiero ha davvero poco a che fare con il politicamente corretto dominante: è infestato da più oscuri fantasmi, sta in equilibrio su crepacci antichi. Per chi volesse esplorarli - se non altro per conoscere più a fondo l' origine di certe idee trionfanti - è particolarmente interessante e istruttiva la lettura di un libro appena pubblicato da Fandango e intitolato L' uccello del paradiso.
Mario Mieli e la lingua perduta del desiderio. Lo firma Luca Scarlini, narratore intrigante, che sa come affascinare, e soprattutto è capace di giungere al cuore della filosofia di Mieli, proprio lì dove si trovano magia e alchimia.
Il termine alchimia deriva probabilmente dall' arabo, anche se l' origine della pratica è quasi certamente greca. È in greco, in ogni caso, il testo di Zosimo che racconta la genesi di questa sapienza ancestrale: alcuni angeli si innamorarono delle donne terresti, scesero in basso e rivelarono alle fanciulle i segreti della conoscenza, contenuti in un libro chiamato Koumo, da cui la Koumia. Nell' immaginario popolare, l' alchimista è una sorta di proto-scienziato, uno che maneggia alambicchi e pozioni nel tentativo di trasformare in oro i metalli vili. Ed è senz' altro vero che gli alchimisti (come dimostrano gli studi di Mircea Eliade) avessero molto a che fare con la lavorazione dei metalli.
Tuttavia l' aspetto fondamentale della cosiddetta «Grande Opera» riguarda piuttosto la trasformazione dell' uomo. L' alchimista, trasmutando le materie, cambia sé stesso.
Egli diventa oro attingendo alla vera conoscenza.
Semplificando al massimo, si può dire che quello alchemico sia un percorso di iniziazione, che Carl Gustav Jung ha poi utilizzato ai fini della terapia. La celebre «Pietra filosofale» ricercata dagli alchimisti assume in questa luce un particolare significato. Come ha scritto l' alchimista contemporaneo Isreal Regardie, essa «corrisponde al principio spirituale affermato da ogni sistema religioso: l' Anima cosmica, l' Anima del mondo, l' Unica Vita che anima tutte le cose, la Luce stessa». La Pietra dunque non si trova all' esterno, ma va estratta «dalle profondità, da quella caverna di metalli che è l' uomo stesso».
In certi frangenti, però, ciò che altrove è elevazione spirituale si riduce a mera «liberazione» dell' uomo da ogni limite. L' alchimista che trova in sé la pietra filosofale scopre la luce divina al suo interno e, nei fatti, diventa come Dio: ne assume i poteri e a quel punto tutto gli è concesso, compresa la sovversione del creato. Ed è in questa chiave che possiamo interpretare il pensiero di Mieli.
l'uccello del paradiso luca scarlini
Luca Scarlini (che di certo ha sull' argomento una visione radicalmente diversa dalla nostra) nota che Mieli «entra nel mondo dell' alchimia dalla porta principale e comunica, spesso, al mondo il suo interesse, la sua credenza in un magnum opus, che per via di alchimia giunga all' amore.
Come sempre gli incantesimi seguono la putrescenza della nigredo per giungere alla sintesi dell' essere. Il sangue, l' orina, le feci, sono materie con cui opera l' alchimista».
La nigredo, l' opera al nero, è la prima fase dell' alchimia: la putrefazione, la dissoluzione, la nera notte del corvo. Mieli, anche a livello politico, si è addentrato in questa oscurità corvina, e così fanno oggi - sebbene ignorino le antiche arti - tanti attivisti Lgbt. «Solve et coagula» è il principio alchemico. Adattato ai tempi diventa: distruggi la società (che è patriarcale, omofoba, borghese etc), e poi rifalla in altra forma: più buona, più perfetta, migliore e progredita.
Alla «putrefazione» si può senz' altro ricondurre l' ossessione di Mieli per le feci, spinta fino alla coprofagia. Un tema, questo, su cui si dilungò anche Luciano Parinetto, professore di filosofia morale alla Statale di Milano e studioso eterodosso che cercò di rintracciare le radici alchemiche del pensiero di Marx.
Mieli si abbeverò alla sua fonte, ne recensì gli scritti, e sviluppò alcune sue idee. Altri spunti glieli fornì il rapporto con Francesco Siniscalchi, massone «di sinistra», noto per aver denunciato la Loggia P2 alle autorità nel 1982 ( Scarlini riporta la lettera che l' iniziato inviò a Mieli dopo aver letto Elementi di critica omosessuale, avendone colto l' aspetto esoterico).
Mieli, a suo rischio e pericolo, si incamminò lungo un sentiero pieno d' ombre. Era fissato con l' Egitto (patria di Ermete Trismegisto, il primo grande alchimista), e il suo romanzo autobiografico Il risveglio dei faraoni è gonfio di riferimenti esoterici. Inoltre la sua insistenza sulla transessualità (che egli vedeva come una sorta di condizione originaria dell' essere umano prima della «educastrazione») ha molto a che fare con l' androgino alchemico.
Ecco però la china pericolosa: l' androgino rappresenta l' unione degli opposti ai fini di una rigenerazione, ma nell' era trans è diventato il simbolo della potenza sfrenata dell' uomo che «fa ciò che vuole», e da alchimista può ricreare anche sé stesso migliorando il lavoro di Dio.
Mieli arrivò a celebrare «nozze alchemiche» con il suo compagno dell' epoca. I due, onde entrare in comunione e rinascere come uno, avevano cotto e mangiato, ricorda Scarlini, «una "torta nuziale" fatta di escrementi, pane, pinoli, uvetta, scorza d' arancia, liquore, abbondante zucchero». In questa sua foga, quasi da invasato, il giovane Mieli aveva forse dimenticato che la nigredo può essere fatale: l' alchimista spesso si perde nella dissoluzione.
«Demenza e melancolia» sono malattie professionali degli alchimisti, scriveva Parinetto. Voler sovvertire il mondo può condurre alla follia. O, appunto, al suicidio.
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