RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Marco Respinti per “Libero quotidiano”
La Cina sta morendo, e nel frattempo invecchia. Sì, l'«inverno demografico» (come lo definì il teologo belga Michel Schooyans) sta contrastando ovunque il riscaldamento del pianeta, e il declino della popolazione in età lavorativa è da anni una costante di tutta l'Asia Orientale, mala Cina è passata di colpo dal bianco della crescita al nero del crollo ignorando i grigi nel mezzo. Adesso rischia l'implosione.
Perché se pure il suo prodotto interno lordo ha superato o è prossimo a quello degli Stati Uniti (dipende dai criteri delle misurazioni), e se la sua aspettativa di vita ha raggiunto quella statunitense nell'anno pandemico 2020 (benché in Cina il reddito pro capite resti molto più basso), la locomotiva della crescita economica cinese, cioè la demografia, non traina più.
PROIEZIONI
La popolazione in età lavorativa (15-64 anni) del Dragone è ora un miliardo di persone, un ottavo degli abitanti del mondo, secondo il World Population Prospects 2022 stilato dal Dipartimento per gli Affari economici e sociali delle Nazioni Unite. Una fetta enorme della popolazione mondiale in età lavorativa, sì. Ma le proiezioni dell'Onu dicono che la popolazione lavorativa cinese calerà rapidamente dagli anni Trenta del secolo, restringendosi di quasi due terzi nel 2100, quando invece gli Stati Uniti si manterranno stabili, più i lavoratori di Canada e Messico: stranieri, che però nuotano nel medesimo mare di libero scambio.
Questo solo nel più favorevole dei casi. Su Bloomberg Justin Fox (ex direttore editoriale della Harvard Business Review) sottolinea che così si dà per scontato l'aumento del tasso di fertilità cinese, in caduta da anni, che raggiungerà quello statunitense.
Anche le previsioni Onu sulla fertilità degli Stati Uniti (dice sempre Fox) sono rosee, ma gli Stati Uniti hanno l'immigrazione, mentre in Cina (questo Fox non lo dice) intere popolazioni sono perseguitate sino al genocidio e alcuni gruppi umani servono solo a fornire organi di ricambio al mercato nero dei trapianti. E qualora, dice l'Onu, la fertilità si stabilizzasse invece per entrambi al fondo, la Cina perderebbe più dell'80% della popolazione lavorativa e gli Stati Uniti la sorpasserebbe nel 2097.
PILOTARE IL FUTURO
Ma sono solo previsioni; e, se una cosa è certa almeno da La macchina del tempo di H.G. Wells, è che il futuro si può pilotare. Il passato, invece, si può solo studiare immobile. Magari per capire come la Cina sia arrivata qui. Il 27 settembre Pechino ha varato misure per migliorare la «salute riproduttiva delle donne», fra cui la drastica riduzione degli aborti per «scopi non medici».
Da decenni, infatti, quanti figli una coppia cinese possa avere lo decide lo Stato-partito. Tutto inizia però molto prima, fra 1958 e 1961, epoca del «Grande balzo in avanti» con cui Mao Zedong volle trasformare un Paese agricolo in potenza industriale superiore ai rivali occidentali. L'esito fu l'ecatombe per fame. Poi venne la «Rivoluzione culturale»: iniziò nel 1966 e la finì solo la morte di Mao, nel 1976. Doppio disastro umano ma pure economico tale che, nonostante i milioni di morti che non si è ancora smesso di contare, le bocche da sfamare restavano troppe.
Deng Xiaoping impose così il «figlio unico»: ridurre le nascite a ogni costo con aborto, contraccezione, sterilizzazione e infanticidio dei sopravvissuti. Durò dal 1979 al 2015. Un documentario, gratis su Amazon, One Child Nation, mostra un video della propaganda comunista, trasmesso dalla televisione cinese nel 1998, che si vanta di avere impedito la nascita di 338 milioni di bambini. È stato allora, 2015, che lo Stato ha permesso il secondo figlio (e gli altri nel nulla) e poi, il 31 maggio 2021, il terzo figlio (e gli altri nel nulla).
TIMIDI PASSI
La decisione è stata preparata in due mosse. I risultati del 7° Censimento nel dicembre 2020, resi noti in maniera (ancora) incompleta l'11 maggio 2021, e il rapporto della Banca Popolare Cinese del 26 marzo 2021, reso noto il 14 aprile successivo. Il primo dice che per la prima volta in 60 anni la popolazione cinese è scesa sotto la soglia simbolo di 1,4 miliardi; il secondo che non è vero e che, per la prima volta dal 1955, è calato il tasso delle nascite.
Mosse timide ma importanti. E la timidezza la sbugiarda una tabella del Censimento. Le nascite cinesi hanno raggiunto il picco e sono inesorabilmente iniziate a calare nel 1982, quando la politica di morte del "figlio unico" è diventata l'articolo 25 dei "Princìpi generali" della quarta Costituzione della Repubblica popolare cinese. Adesso la storia, cavalcando la matematica, passa all'incasso.
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