RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Estratto dell'articolo di Walter Veltroni per www.corriere.it
Luca Carboni si è sottratto, per due anni, a tutti i riflettori. Lo ha fatto per affrontare un male, il tumore, che oggi sente di poter raccontare.
«Viviamo in un mondo in cui tutto è comunicato, sempre. Io invece ho seguito il mio istinto, il mio carattere. Mi sono messo da parte, ho staccato ogni contatto con i social, mi sono concentrato su quello che mi stava succedendo. A marzo del 2022 mi è stato diagnosticato un tumore al polmone. Un po’ di tosse che non passava, la decisione di fare una lastra. Uno choc. Sono rimasto senza parole, quella malattia sta nella nostra vita, ma pensi che a te non toccherà mai. Improvvisamente tutto è cambiato».
«Stavo registrando un album nuovo, avevo già definito dieci pezzi tra cui il singolo “Il pallone” e un altro che sarebbe dovuto uscire quell’estate, una canzone, a cui tengo moltissimo, che avevo scritto nel 1986 per proporla a Vasco e che poi avevo deciso di incidere personalmente: ”Rimini d’estate”.
Avevo previsto l’album e poi il tour. Invece, in pochi minuti, tutto è cambiato. Dalla scelta dei brani sono passato alla scelta delle terapie per sopravvivere. Il tumore era grande, difficile da operare».
«Lo staff di oncologia del Sant’ Orsola- guidato dal Primario Prof. Andrea Ardizzoni, con la collaborazione dello pneumologo Piero Candoli e del chirurgo Piergiorgio Solli- ha avviato subito una massiccia cura di chemioterapia. Il tumore si è ridotto molto e ad agosto ha consentito l’operazione per asportarlo. Per fortuna non c’erano metastasi e dopo l’intervento abbiamo continuato con l’immunoterapia. Dopo due anni posso dire di essere tecnicamente guarito anche se, con questo tipo di malattia, questa parola ha un significato fragile. […]».
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«Credo, e non ho ragione per nasconderlo. Dalla notizia, dalla lastra e, soprattutto, dallo sguardo del radiologo, mi ero convinto di avere poco tempo. Ho pensato alla morte, per la prima volta, come a una possibilità concreta. Ma devo alla scienza medica il ritorno, assai presto, di una ragionevole speranza. […] Non mi sono piegato alla disperazione, che pure conviveva con me, ho combattuto.
Ho smesso di fumare, ho camminato tanto. Andavo sull’Appennino e cercavo paesaggi che rendessero ancora più forte il mio rapporto con la vita. La natura mi ha aiutato. L’arrivo della neve, l’irrompere della primavera. Trovavo sentieri impervi e fantastici che mi ricordavano la bellezza delle cose del mondo. Erano iniezioni di fiducia, erano stimoli a non mollare. Poi mi ha aiutato molto la pittura, che è sempre stata la mia altra passione».
«Il mio rientro nel mondo avverrà a novembre nella mia Bologna con una mostra, curata da Luca Beatrice e prodotta da Elastica, con i quadri, i disegni, lo story board del primo video che ho fatto e i block notes sui quali ho gli appunti di ogni mio album.
[…]
«Tu mi chiedi di tre frasi della mia musica: “Luca è a casa che sta male” “Ci vuole un fisico bestiale” “Questa vita è bellissima anche se talvolta ci tira giù”. Nessuna profezia, nessun presentimento. Sono una persona timida, forse malinconica e la mia musica, parole e note, mi assomiglia. […]
[…]
«In fondo io sono figlio di una generosità e di una curiosità, quella di Lucio Dalla. Avevo venti anni e mi ero convinto che, per arrivare agli altri, più che mandare audiocassette che nessuno avrebbe ascoltato, fosse più efficace l’impatto della pagina scritta. Così misi i miei testi in una busta per Ron e la consegnai a Vito, il titolare dell’osteria di Bologna dove allora andavano tutti i cantanti che mi piacevano».
«Quella sera a un tavolo c’erano Lucio e gli Stadio che discutevano dei testi del primo album del gruppo. Io mi fermai a guardarli, dalla vetrina del ristorante. Vidi Lucio che prese la busta, la aprì, cominciò a leggere e poi distribuì i fogli agli altri. Sentii che disse “Cazzo, belli”. Io avevo messo il mio numero di telefono di casa sulla busta e vidi Lucio che si alzò e prese l’apparecchio del ristorante. Non sapevo cosa fare, ma mi feci coraggio e rientrai proprio mentre mia sorella gli stava dicendo che io dovevo essere lì. Gli battei sulla spalla e lui, divertito, mi squadrò sibilando “Pensavo fossi un adulto…”. Mi fecero sedere al loro tavolo, a me sembrava di sognare.
[…]
«Mi chiedi se ho mai pianto, in questi due anni. No, mai. Ma succederà presto. E sarò felice di farlo».
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