DAGOREPORT - BERLUSCONI ALLA SCALA SI È VISTO UNA SOLA VOLTA, MA IL BERLUSCONISMO SÌ, E NON AVEVA…
Cristiana Mangani per il Messaggero
«È appena avvenuta la peggiore tragedia nel Mediterraneo di quest'anno»: così Filippo Grandi, Alto commissario delle Nazioni unite per i rifugiati, annuncia via Twitter quanto è accaduto al largo delle coste di Al Khoms, di fronte alla Libia. Un naufragio nel quale hanno perso la vita 150 persone. «Due barconi sono affondati con 300 persone a bordo - conferma la Guardia costiera libica -, 137 sono in salvo». E Charlie Yaxley, portavoce dell'Unhcr per Africa, Mediterraneo e Libia, dichiara: «Se le cifre stimate sono corrette, si tratta del maggior numero di vittime nel Mediterraneo centrale nel 2019».
MARE CALMO
Erano partiti all'alba per raggiungere l'Italia. Le condizioni metereologiche erano buone, il mare calmo con poco vento, ma qualcosa non è andata per il verso giusto. Il gommone (uno o due, non è ancora chiaro, ndr) era carico di persone fino all'inverosimile e, dopo poche miglia, il viaggio è finito. Il mezzo si è ribaltato e in tantissimi non ce l'hanno fatta. La notizia della tragedia in mare è arrivata fino a Tripoli: pescatori e guardacoste ne parlavano tra di loro ieri mattina.
Forse perché sono stati tra i primi a intervenire per cercare di soccorrere più persone possibili. Da quando il mare è sgombro dalle barche delle Ong, ma anche da quelle dell'Operazione Sophia, il rischio che i viaggi della speranza finiscano in tragedia, si fa sempre più concreto. A questo proposito l'Unhcr esorta: «Deve riprendere adesso il soccorso in mare, la fine dei campi di detenzione dei migranti in Libia, aumentando i percorsi sicuri per uscire dal paese africano, prima che sia troppo tardi per molta gente disperata. Salvare vite in mare è un bisogno urgente».
L'incitamento alle Organizzazioni non governative non piacerà senz'altro al governo italiano che proprio ieri ha approvato anche al Senato il Decreto sicurezza bis che impone severe regole per chi fa salvataggi in mare non autorizzato. Nel frattempo, però, la bella stagione sta scatenando quanto previsto nei mesi scorsi, ovvero l'aumento delle partenze. E infatti, mentre ancora si contano i cadaveri recuperati davanti ad Al Khoms, a Lampedusa continua il viavai di barchini fantasma. Ieri ne sono arrivati due con a bordo almeno una ventina di immigrati. Sulla prima barca in vetroresina c'erano sette uomini.
Nell'altra, 13 persone, tra cui una donna e un minore. Il giorno prima non era andata diversamente: 77 arrivi dopo essere partiti da Zuara con un barcone di legno. A rintracciarli, questa volta, è stata una motovedetta della Guardia di finanza che li ha portati sull'isola siciliana: a bordo 29 uomini, 33 donne (tre incinta), 15 minori, dei quali 10 non accompagnati.«Sono povere vittime della ferocia di questo mondo - si sfoga il direttore del Cir (Consiglio Italiano per i rifugiati), Mario Morcone - Noi faremo il possibile per aiutarle».
PESCHERECCIO BLOCCATO
E un'altra questione è in corso nelle acque di competenza maltese: resta bloccato a 50 miglia dalla costa, tra Lampedusa e Malta, il motopeschereccio di Sciacca Accursio Giarratano che, due notti fa, aveva soccorso un gommone con almeno una cinquantina di migranti. Malgrado l'allarme lanciato, le autorità costiere di Malta hanno negato l'autorizzazione all'approdo.
Il comandante riferisce che dal gommone hanno tentato di salire sul suo natante: «Non conosciamo la loro nazionalità, non possiamo lasciarle alla deriva, vorremmo poterle consegnare a una autorità marittima disponibile, sia italiana che maltese». Della vicenda è stata informata la Capitaneria di Porto Empedocle, ma ancora la situazione è ferma. Anche perché in area Sar maltese, nel pomeriggio di ieri, altri sei casi sono stati segnalati, ma nessun Sos ha ottenuto risposta.
ALLARME DEGLI 007
C. Man. Per il Messaggero
Ogni naufragio in mare è un colpo al cuore alla politica migratoria italiana, perché la bomba libica è lì, pronta a esplodere. Il caos generato dal conflitto iniziato il 4 aprile scorso, rende la situazione sempre più complicata e mette sul tavolo le rivendicazioni che ognuna delle parti in causa mostra verso l'Europa. Sono mesi che il presidente riconosciuto dall'Onu, Fayez al Serraj, lascia intendere che potrebbe aprire i centri di detenzione gestiti da Tripoli e lasciare liberi i migranti di affidare le proprie vite agli scafisti. Lo ha fatto l'ultima volta dopo il bombardamento del centro per migranti di Tajoura, dove hanno perso la vita in 44 e sono rimasti feriti in 130.
E la situazione incandescente che si vive nel Paese è una continua minaccia per le nostre regioni costiere. Perché il rischio paventato dall'intelligence è che i flussi cambino pelle e, ai migranti in arrivo da altre parti del mondo, si aggiungano gli stessi libici, in cerca di salvezza da una situazione sempre più drammatica. Non è un caso, infatti, che negli ultimi arrivi su 70 persone, una ventina proveniva proprio dalla Libia. Un dato che non veniva registrato da tempo. E ognuno di loro potrebbe chiedere lo status di rifugiato, visto che il Paese è in piena guerra.
I DATI Secondo gli ultimi dati diffusi dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni sono almeno 641.398 migranti attualmente presenti sul territorio. Di questi solo cinquemila sono nei centri di detenzione gestiti dal governo di Serraj. E quindi se anche decidesse di liberarli tutti, la situazione non cambierebbe molto. È la grande massa che vive di espedienti, di qualche lavoro qua e là, che rappresenta la vera preoccupazione, anche se in base alle ultime stime sono circa 200 mila quelli che aspirano ad andare in Europa. Il conflitto in corso nella zona a sud di Tripoli ha innescato un movimento verso le aree vicine della Libia occidentale e ha anche portato a una riduzione delle opportunità di lavoro.
La gestione dei centri di detenzione ufficiali ha un costo che trova sostegno soprattutto nei soldi che Unione europea e Italia hanno trasferito al governo Serraj. I finanziamenti arrivati a Tripoli da Bruxelles ammonterebbero a 266 milioni di euro che farebbero parte del Trust fund europeo per l'Africa che ha un budget finale previsto che supera i 4 miliardi di euro per tutto il continente. A questo esborso, per il quale l'Italia è uno dei maggiori contribuenti seconda solo alla Germania, va aggiunto il supporto fornito direttamente da Roma dopo la stipula del memorandum Italia-Libia del 2 febbraio 2017. Tutto denaro che nel caos del conflitto non si sa bene nelle mani di chi finisca.
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