RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Estratto dell’articolo di Cristiana Lauro per www.ilsole24ore.com
I cambiamenti nel mondo della ristorazione degli ultimi 15 anni hanno portato alla luce una crisi profonda del modello di riferimento - sia stellato (Michelin) che “gastronomico” o “gourmet”, che dir si voglia - anche in assenza di riconoscimenti ufficiali.
Le ragioni sono riconducibili ad aspetti diversi; senza parlare del fatto che l’aumento costante dei prezzi è fuori controllo e la cosa non aiuta per niente. Tuttavia, non è l’unica causa. I clienti che possono scegliere senza problemi, oggi, tendono a disertare il “fine dining” (definizione un po’ astratta a dire il vero) e la scusante non è il conto sul tavolo ma il fatto che non si divertano abbastanza. In pratica ci si ricorda del conto solo quando l’esperienza non è piaciuta.
Il cliente, ancorché esigente, raffinato e benestante (badate bene che il mio discorso non è rivolto solo a certe fasce sociali) oggi sente la necessità di vivere l’esperienza del ristorante in maniera diversa rispetto agli anni passati, ovvero fuori dai cliché e dai rituali che troppo spesso caratterizzano e uniformano le varie mete della cucina cosiddetta “gourmet”.
È chiaro che il modello economico di settore abbia evidenziato più di una fragilità o si sia addirittura dimostrato insostenibile. Le chiusure di molti ristoranti cosiddetti “d’autore” infatti costituiscono una chiara dimostrazione.
Come soluzione efficace in diversi casi per riuscire a riequilibrare i bilanci si è affiancata una proposta più facile e accessibile, con le relative aperture di bistrot o locali alternativi.
Probabilmente la richiesta della clientela determinerà l’evoluzione futura che è di per sé già in atto.
Prendiamo come esempio alcuni modelli attuali di enorme successo come il gruppo Langosteria o Trippa a Milano (solo per citarne alcuni, distanti fra loro nella proposta). Si tratta di locali che offrono una differente, ma pur sempre ottima, esperienza culinaria al cliente, senza la minima intenzione di rincorrere alcuna stella. In modo e maniera diversa sono dunque ristoranti che offrono agio alla clientela.
In altri casi (che per inciso e inevitabile destino sono implosi) il modello sembrava quasi opposto, col risultato di creare disagio in nome della centralità della cucina e dello chef, in deroga a un obiettivo essenziale della ristorazione che dovrebbe essere sempre e comunque quello di ristorare.
Di contro aggiungo invece alcuni esempi di ristoratori che hanno ricevuto la stella Michelin salvo decidere di intraprendere con diligenza un percorso appagante e differente che ha riempito i locali - assai richiesti e ben frequentati - senza rinunciare alla grande qualità nella proposta.
È il caso di chef Tokuyoshi con la sua Bentoteca a Milano ma anche di Daniele Minarelli di All’Osteria Bottega a Bologna. Anche perché il traguardo raggiunto della prima stella richiama subito all’ordine ingenti investimenti per ottenere la seconda e peggio mi sento con la terza. Pierluigi a Piazza de’ Ricci, Salumeria Roscioli (vere e proprie istituzione di successo internazionale), poi ancora Al Ceppo e Ai Piani per fare qualche nome anche su Roma e non fermarsi solo a Milano. Insomma, l’Italia è piena di molti altri esempi e non solo su queste due grandi città.
Per concludere e mirare a un orizzonte concreto sulla ristorazione stellata (ma non troppo) penso allo stile di Condividere alla Fondazione Lavazza a Torino che ha una stella Michelin pur mantenendo “prezzi umani”. È il luogo che ha centrato la formula in pieno, e non da ieri. Modello snello di ottima cucina e servizio giovane, dinamico, brillante, libero da affettazione e maniera. Un esempio di ristorazione ottima e divertente alla quale guarderei per il futuro.
Al di là della genesi del problema e dei suoi orizzonti c’è un aspetto che mi pare evidente: i clienti che aprono una lista dei cibi al ristorante e leggono una sfilza di ingredienti mai assaggiati prima tutti insieme e nello stesso piatto, si annoiano a morte. Una volta, per curiosità, può passare. Per il resto e nella maggior parte dei casi capita che al tavolo ci si occupi di altro (come business o vita privata) e non necessariamente dell’ego dello chef. La ristorazione vincente deve creare agio, non disagio.
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