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Gianluca Veneziani per “Libero quotidiano”
mani pulite voci a confronto il convegno
30 anni dopo è tempo di processare Tangentopoli e di concedere agli avvocati il diritto di esercitare un mea culpa.
Con questo spirito ieri la Camera Penale di Milano, che rappresenta in città gli esponenti del foro in ambito penale, ha organizzato a Palazzo di Giustizia il convegno Mani pulite: voci a confronto.
L'incontro è stato l'occasione per mettere a nudo storture e abusi di Tangentopoli e comprendere quanto quella stagione giudiziaria abbia cambiato in modo irreparabile i rapporti della magistratura con politica, giornalismo e società civile. Tanto per cominciare, secondo gli avvocati presenti al convegno, Tangentopoli nacque da un complotto e si risolse in un colpo di Stato.
ANTONIO DI PIETRO PIERCAMILLO DAVIGO FRANCESCO GRECO GHERARDO COLOMBO - POOL MANI PULITE
«Dobbiamo chiederci come il fatto giudiziario è nato», dice l'avvocato Nerio Diodà, già legale di Mario Chiesa, primo arrestato dell'inchiesta e allora presidente del Pio Albergo Trivulzio.
«Fu un complotto organizzato da parte di Di Pietro. Si era rivolto a lui un imprenditore, il quale gli aveva raccontato che da anni pagava a destra e a manca. Di Pietro e il suo capitano prepararono 7 milioni in cui una banconota ogni dieci era sottoscritta dallo stesso Di Pietro.
Successivamente (dopo la consegna dei soldi dall'imprenditore a Chiesa, ndr)si presentarono al Pio Albergo Trivulzio, si fece la perquisizione e nel cassetto vennero rinvenuti 7 milioni».
Fu l'inizio di un'inchiesta condotta non per appurare singole responsabilità penali ma «per dimostrare che il sistema politico era marcio», come nota l'avv. Gaetano Pecorella. «Non si trattò di una rivoluzione giudiziaria», continua, «ma di un colpo di Stato» che «trasformò i magistrati da funzionari in una forza politica».
Ma con quali metodi venne condotto questo "colpo di Stato"? Il principale fu l'uso sistematico e spropositato da parte dei pm della custodia cautelare, con arresti usati come strumento di indagine e spesso finalizzati a ottenere confessioni e chiamate in correità, in cambio di liberazioni e sconti di pena in prospettiva.
ANTONIO DI PIETRO ACCERCHIATO DA CRONISTI DURANTE MANI PULITE
«La custodia cautelare come dolce tortura», la definisce Pecorella. O come «vulnus alla libertà personale e alla presunzione di innocenza», per dirla con l'avv. Daniele Ripamonti.
Anche se Gherardo Colombo, ex pm, tra i protagonisti del pool di Mani Pulite, nega le dimensioni esagerate del ricorso alle misure cautelari e l'obiettivo politico dell'inchiesta.
«Ho detto più volte che la custodia cautelare è stata applicata secondo il Codice», dice ai nostri taccuini. «Noi abbiamo proceduto per reati commessi da persone. Se poi queste persone svolgevano funzioni politiche non possiamo farci niente». Di certo, nell'applicazione di questo metodo di indagine, contò l'accondiscendenza di molti avvocati che, anziché pensare al rispetto del diritto, badarono a far sì che i loro clienti subissero i minori danni possibili, scendendo a compromessi col sistema adottato da Di Pietro.
Fu un periodo di «frustrazione e travaglio» degli avvocati, come lo definisce l'avv. Monica Barbara Gambirasio.
mani pulite voci a confronto il convegno
A queste storture se ne sommarono altre, dall'eccessiva complicità tra pm e giornalisti, che peccarono di «voyeurismo», come ammette l'allora cronista di giudiziaria Paolo Colonnello, alla «trasformazione del magistrato in una star», come avverte il direttore di Libero Alessandro Sallusti, «con la nascita della giustizia spettacolo» e la convinzione che i «pm vivessero di consenso, non di merito» e, una volta popolari, fossero «intoccabili».
La degenerazione di quel periodo può ben essere riassunta nei versi fulminanti dell'avvocato Jacopo Pensa: «Giro giro giro tondo qui si indaga tutto il mondo; molto a destra, poco a manca, di indagar non ci si stanca».
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