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Andrea Marcenaro per "il Foglio"
Sentite, ragazzi, facciamo a capirci sulle alluvioni a Genova. La città sta sotto i monti. Ma di brutto, proprio tra i monti e il mare. E’ la sua figaggine, e insieme la sua sfiga. Piove, e scende l’acqua inesorabile dai monti. Non piove, e arrivano i bauscioni coi denari al sole. Non solo da Milano.
Salvo nel 1953, ma si trattò di una robina, non si ricordava un’alluvione a Genova dal 17 ottobre del 589 dopo Cristo. Vi ripeto la data, così viene meglio: dal 589 dopo Cristo. Rifulgeva l’Impero romano d’oriente. E pioveva come oggi. Sentite, ragazzi, a non prendersi per il culo, a Genova le alluvioni vere partono dal 1970. Un ingrossamento del Fereggiano, verso il 1200, aveva a dire il vero rotto un ponte. Lo chiamarono Ponte rotto e finì lì. Però sentite. Cominciano, le alluvioni vere, allorché, per interrompere l’anarchia delle costruzioni abusive, democraticamente spuntò il Piano regolatore. Era il 1959. Fu sensato vararlo. Fu uno dei totem della civile convivenza. E quest’altra ancora, sentite.
L’uso di costruire era stato fino a quel momento, diciamo, disarmonico, rimanendo però fedele a consolidate sapienze. Ci si teneva a distanza dai rigagnoli, per dirne una. Con il Piano regolatore del ’59, l’uso delle aree divenne affare esclusivo della politica democratica. Genova sconosceva le alluvioni. Non erano mai state un problema. Si costruì dunque senza timore, su qualsivoglia Fereggiano o Bisagno del menga. Venne su Quezzi.
Finì l’abusivismo alla buona degli operai, degli artigiani, ma pure per la villa di qualche riccone, e partirono le costruzioni legali. In grande. Così, solo per dire che i disastri prodottisi a ripetizione negli ultimi decenni sono figli della lotta democratica all’anarchia edilizia e all’abuso popolare. Nascono contro, l’abusivismo delle speculazioni. Non il contrario. E da uno slancio al meglio, non al peggio. Ma bon. Era solo per una sorta di precisione del linguaggio che vale quel che vale, tanto ormai (a meno di una deportazione) la cosa è andata, e andrà, e cazzi sono e tali resteranno.
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