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Giuliano Foschini per “la Repubblica”
Dalla nuvola di mistero che tuttora avvolge l'avvocato plurindagato Piero Amara, una sorta di Keiser Soze di casa nostra, appare Loreto Francesco Sarcina, Franco per gli amici. Il maresciallo che sapeva troppo.
Prima ancora che la Guardia di Finanza depositasse alle procure le carte delle inchieste più delicate che hanno riguardato Amara, a Messina così come a Perugia, Sarcina le aveva in tasca. Le consegnava agli indagati affinché potessero studiare le contestazioni a loro carico, fino, eventualmente, ad eluderle. I passaggi di mano avevano un ché di cinematografico, all'interno di un convento con una suora che faceva da portiera, per esempio.
Sempre, comunque, dietro compenso: 30mila euro, dicono, per ogni informazione utile.
Il maresciallo Sarcina, 59 anni, nato a Trinitapoli nel Foggiano, aveva un incarico di basso livello nell'Aisi, il nostro servizio di intelligence interna. Nascondeva venti telefonini e venti schede sim diverse.
È stato arrestato e già condannato in primo grado. Il punto è che la sentenza non ha risolto l'enigma: come faceva Sarcina ad avere quei documenti? Chi glieli consegnava? E soprattutto perché? Detenuto in carcere per più di un anno e mezzo, il carabiniere non ha fiatato. La Guardia di Finanza non ha mai smesso di indagare su di lui e su quel un segreto imbarazzante che custodisce ormai da sei anni.
Gli incontri con Amara
I primi a fare il nome di Sarcina ai pubblici ministeri sono proprio l'avvocato siciliano Amara e il suo socio Giuseppe Calafiore negli interrogatori dell'estate del 2018. Confessano di aver ricevuto, nonostante il segreto istruttorio, «tre informative redatte dalla finanza di Roma e Messina» sui loro affari.
E che a fornirle era stato «tale Franco, dipendente della Presidenza del Consiglio, il quale ci riferiva notizie interne e ci ha consegnato anche una documentazione cartacea: ci disse che ci avrebbe tolto dai guai, sia per l'indagine di Messina sia per quella di Roma».
Agli atti ci sono i racconti delle consegne di alcune chiavette Usb, avvenuti davanti a una suora in un convento sulla riva del Tevere. «Dopo aver letto quello che ci serviva abbiamo buttato tutto nel fiume».
Gli investigatori, che hanno scritto quelle informative cruciali per l'inchiesta, si mettono subito al lavoro per capire se si tratta di verità o di millanterie. In realtà lo sanno già, perché i resoconti di Amara e Calafiore non fanno altro che confermare quello che già hanno intuito: c'è una talpa che lavora contro di loro per "bruciare" le indagini.
La talpa
Lo capiscono da due circostanze. La prima: quando si sono presentati per perquisire lo studio di Amara, all'alba come sempre accade, gli è stato aperto immediatamente al primo squillo di citofono. Sembrava quasi che l'avvocato li stesse aspettando. Sensazione confermata dalle carte tutte perfettamente in ordine e tutte perfettamente inutili ai fini dell'indagine, dai computer che non contenevano nemmeno un documento interessante, né un appunto né una lista. Lo studio era stato ripulito, creando una scena asettica.
La seconda circostanza: un'intercettazione ambientale in cui si sente Amara parlare al telefono con uno sconosciuto proprio di una delle indagini in corso. «È un'utenza estera» scriverà la Finanza. Intestata a chi? Al carabiniere Sarcina, naturalmente.
La nuova indagine
Per tutto questo lo 007 viene arrestato. Condannato per un passaporto falsificato, assolto per i documenti classificati della Presidenza del Consiglio che nascondeva a casa (secondo i giudici poteva averli, in ragione del suo incarico all'Aisi).
Ma l'inchiesta più delicata è, nei fatti, ancora in corso. Sono stati cercati contatti e collegamenti tra Amara e Sarcina: la suora che organizzava i loro incontri, qualche amico in comune, un palazzo nel centro di Roma da cui sembra passare tutto.
Magistrati, spie, Amara chiaramente, e i suoi amici.
Nel processo in corso a Perugia che ipotizza una fuga di notizie a carico dell'ex presidente dell'Anm Luca Palamara e del suo collega pm Stefano Fava, i finanzieri - al contrario di quanto è stato riportato su alcuni giornali - hanno ribadito di aver cercato la talpa ma che le indagini al momento non hanno portato a niente. Può essere una fonte interna alle Fiamme gialle. O magari alla Procura.
Può essere qualcuno che ha bucato i sistemi informatici, intercettando le comunicazioni interne. Certo è che la violazione del segreto è stata sistematica, ha riguardato più uffici giudiziari e forse non soltanto le inchieste su Amara. Certo è che Sarcina in questa storia è solo il braccio. Bisogna ancora dare un nome alla mente.
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