DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Niccolò Zancan per “la Stampa”
Alpeggio di Metz, rumore di campanacci, 2300 metri di altitudine. Dovrebbe essere il paradiso, ma la guerra è arrivata. «Sta bruciando tutto. C'è un sole cattivo. L'erba è già secca, di un colore giallastro quasi bianco. Fino a 15 giorni fa la situazione non sembrava così grave, dormivamo ancora con due coperte».
Le decisioni che sta prendendo adesso in Valle d'Aosta l'allevatore Remo Dalbard, 53 anni, sono una diretta conseguenza di tutto quello che sta accadendo nel mondo. La crisi del grano, il disastro climatico, l'aumento dei prezzi. Dalbard ha deciso che deve ridurre i costi del suo allevamento: «A settembre, quando scenderò dall'alpeggio, porterà al macello 40 capi su 120.Devo fare un abbattimento forzato perché la gestione è diventata insostenibile».
Sono in molti ad avere fatto la stessa scelta. Lo conferma Sergio Borla, titolare del macello «Valdostana Carni». «Ho iniziato questo lavoro con mio padre quando avevo 13 anni e adesso ne ho 67, in tutto questo tempo non mi era mai capitato di ricevere prenotazioni per delle bestie da macellare già all'inizio di settembre. I prezzi del foraggio e quelli dell'energia stanno stravolgendo il nostro mondo». Ora le bestie sono all'alpeggio. Si spartiscono prati sempre più inariditi. Ma quando torneranno giù alle stalle avranno un costo nuovo per chi se ne è sempre preso cura.
Per colpa della siccità manca il fieno e quello che c'è costa di più. Per colpa della guerra della Russia contro l'Ucraina i prezzi del grano, del mais e della soia sono alle stelle. Ogni mucca da latte ha bisogno di sei chili di cereali al giorno, oltre al fieno. Sfamarla a settembre costerà 1 euro in più ogni 24 ore. Per 40 capi significa 1200 euro in più al mese.
Per un piccolo produttore di latte, latte pregiato che in gran parte finisce per costituire la fontina della Valle d'Aosta, quel costo aggiuntivo sballa la sostenibilità della sua impresa e vengono mancare i margini di guadagno. Ecco perché molti produttori stanno mettendo in fila le loro bestie sulla strada del macello. Sono 980 le aziende zootecniche della Val d'Aosta, 16 mila capi da latte.
«Il problema è molto grave», dice Omar Tonino presidente degli allevatori valdostani. «Fra i produttori di latte c'è molta preoccupazione. È come se ci trovassimo al centro esatto di una concatenazione di eventi molto più grandi di noi. Da qui si vede bene che ogni cosa è correlata, dall'Ucraina ai nostri alpeggi. È difficile uscirne. Perché non possiamo ricorrere al mercato e alzare il prezzo, noi ci muoviamo dentro un sistema cooperativo. E i prezzi di vendita del latte si fanno a fine anno. Quindi: ricavi uguali, ma costi molto più alti. Ecco dove siamo finiti». Abbattere il bestiame per abbattere i costi, ricavare del denaro dalla carne macellata. Non ci sono molte altre alternative.
«Ci ho pensato a lungo e proverò a resistere», dice sull'alpeggio di Torgnon l'allevatrice Delfina Vascoz. «Ho chiesto a mio marito di aiutarmi con il suo stipendio. Per un anno ancora voglio provare a farcela, prima di arrendermi e vendere tutto. Ma è un continuo di problemi troppo grandi». Anche alla signora Vascoz chiediamo di descriverci la situazione lassù, intorno a lei. «È tutto secco. È incredibile. Abbiamo pascolato una sola volta a 1870 metri e lì non cresce più nulla, ora ci spostiamo a 2400 metri di altitudine».
Chissà come verrà ricordata questa estate del 2022 nei prossimi libri di Storia. Di sicuro è anche l'estate in cui gli allevatori della Valle d'Aosta sono stati costretti a sacrificare le loro bestie. Joël Folin, 39 anni, da 20 anni allevatore a La Madeleine: «Abbiamo costi impossibili da sostenere. Fra bollette, mangimi e foraggio a prezzi stellari sono costretto a prendere la decisione più difficile. Ho 57 capi, dovrò scendere a 40. È un'agonia».
Nota non secondaria sulla questione: il governo aveva stanziato un sostegno specifico per gli allevatori di montagna. Sarebbe dovuto arrivare a settembre, al massimo a ottobre. Ma adesso tutti si chiedono che fine farà quella promessa. «Non mi ricordo un periodo così difficile», dice Dino Planaz, consigliere regionale della Valle d'Aosta e allevatore.
«Abbiamo fatte anche qui delle scelte politiche sbagliate, per esempio non tutelare le piccole imprese. Ma quello che sta succedendo è enorme. Siamo passati dal Covid alla guerra, alla siccità estrema. Nel giro di pochissimo tempo stanno mancando le materie prime per uso zootecnico e anche quelle per uso alimentare. I grossisti stanno già razionando la distruzione. Il prezzo del latte in Europa è aumentato del 12%, mentre da noi solo del 2%. Le più grosse industrie di cibo che distribuivano a tutti ora scelgono a chi concedersi e i discount sono in difficoltà. Manca il prodotto. Nel giro di sei mesi è cambiato tutto. E poi il resto della mazzata è questa siccità: abbiamo il 30% di produzione in meno di latte e formaggio. Sono giorni tremendi. Siamo a luglio e sembra settembre. Abbiamo metà dell'erba».
E quindi, ricapitolando. Il destino di un allevatore di mucche in Val d'Aosta dipende dalle politiche ambientali decise a livello globale e dipende dalla guerra in Ucraina. Intanto: sarà un settembre di enormi sacrifici. E qui, davvero, con le bestie mandate al macello, si capisce bene.
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