lite in sala operatoria al policlinico tor vergata giuseppe sica

“SE PERCEPISCO UN RISCHIO PER IL PAZIENTE, È MIO DOVERE REAGIRE. DETTO QUESTO, CHIEDO SCUSA ALLA MIA COLLEGA” – IL MEA CULPA DI GIUSEPPE SICA, IL CHIRURGO DEL POLICLINICO DI TOR VERGATA ACCUSATO DI AVER INSULTATO E AGGREDITO UN’ASSISTENTE DURANTE UN INTERVENTO CHIRURGICO: “I TONI USATI SONO STATI ECCESSIVI E DETTATI DA UNO STATO DI FORTE TENSIONE E STRESS EMOTIVO. LA SALA OPERATORIA È IL FRONTE DOVE SI COMBATTE DAVVERO TRA LA VITA E LA MORTE. IN QUEI MOMENTI, OGNI SECONDO CONTA. TENGO INOLTRE A PRECISARE CHE..."

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giuseppe sica

(ANSA) - "In sala operatoria si combatte per la vita. E io voglio vincere, sempre". Il chirurgo Giuseppe Sica, coinvolto in uno scontro verbale in sala operatoria con un'assistente - esprimendo parole molto dure e offese per le quali il Policlinico di Tor Vergata ha aperto un'indagine interna - spiega in una nota di avere gia' chiesto scusa ma, aggiunge: "se percepisco un rischio concreto per il paziente, è mio dovere reagire".

 

"Viviamo in un mondo che spesso sembra capovolto. Un mondo dove si giudica con superficialità ciò che non si conosce. Eppure, ci sono luoghi - come la sala operatoria - in cui non si può permettere né leggerezza né approssimazione. Mi trovo a intervenire pubblicamente perché sento il dovere di raccontare cosa accade davvero quando si entra in sala operatoria per affrontare un caso clinico complesso, come quello su cui stavo operando di recente.

 

Un intervento lungo, delicato, che richiedeva altissima concentrazione e prontezza di riflessi. Come chirurgo capoequipe, operavo attraverso una consolle robotica, strumento all'avanguardia che consente precisione millimetrica. Al tavolo operatorio, come avviene in tutte le strutture moderne, erano presenti colleghi assistenti, professionisti - donne o uomini non fa differenza - il cui compito è agire in piena sinergia con chi guida l'intervento.

lite in sala operatoria al policlinico tor vergata 1

 

La sala operatoria è un teatro: un atto unico, irripetibile. È il fronte dove si combatte davvero tra la vita e la morte. In quei momenti, ogni secondo conta. La responsabilità è mia, totalmente mia. E se percepisco un rischio concreto per il paziente, è mio dovere reagire. Il nostro ordinamento giuridico chiama questo comportamento 'stato di necessità' ed è un'esimente assoluta. In quei momenti, si fa ciò che serve per salvare una vita. Punto".

 

Tuttavia, conclude: "Riconosco che i toni usati nei confronti di una collega assistente durante quell'intervento - protrattosi per oltre cinque ore - sono stati eccessivi e dettati da uno stato di forte tensione e stress emotivo. Per questo, desidero esprimere pubblicamente le mie scuse sincere e personali alla collega coinvolta.

 

Non era mia intenzione mancare di rispetto, ma reagire a una situazione che in quel momento ho percepito come potenzialmente critica per il buon esito dell'intervento. Tengo inoltre a precisare che mi sono già scusato personalmente con la collega e con lei ho avuto un chiarimento franco e sereno. Il rispetto umano e professionale tra colleghi è per me un valore imprescindibile".

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