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Gianluca Paolucci per "La Stampa"
Sognava di fare della sua Palladio Finanziaria la Mediobanca del Nord-Est e finisce in carcere come un mediatore d’affari qualunque. Roberto Meneguzzo, 58 anni da Malo in provincia di Vicenza, negli ultimi 10 anni si era ritagliato un ruolo da protagonista nella finanza italiana.
La rete di relazioni pazientemente costruita negli anni ha portato nella compagine sociale di Palladio Intesa Sanpaolo (con il 9%), il Banco Popolare, il vecchio patron dell’Antonveneta, Silvano Pontello e il «dominus» di Veneto Banca, Vincenzo Consoli. E partecipazioni di rilievo come, in primis il pacchetto di azioni Generali custodito nel veicolo Effeti, joint-venture tra la veneta Ferak, animata da Palladio, e la torinese Fondazione Crt. Il tutto finanziato da Veneto Banca.
Un «salottino» che nel ricco Nord-Est ambiva a replicare il modello di piazzetta Cuccia, appunto. D’altra parte proprio grazie alla cessione a Mediobanca della sua Palladio Leasing era partita la scalata di Meneguzzo, laurea a Ca’ Foscari e specializzazione in Usa, e dei suoi soci. E proprio la rottura traumatica con Mediobanca segna l’inizio del declino del «salottino buono» del Nord-Est. Siamo nel 2012 e piazzetta Cuccia cerca di tenere insieme i pezzi di quello che fu l’impero Ligresti e individua in Unipol le mani nelle quali consegnare le polizze di Fondiaria-Sai.
Palladio si allea con Matteo Arpe e cerca di mandare all’aria i piani della banca d’affari con un controfferta sulle assicurazioni di Fondiaria. L’operazione non va in porto, la compagnia dei Ligresti finisce alle coop rosse - con anche in questo caso una serie di strascichi giudiziari -.
Anche sul versante Generali gli affari non vanno più come un tempo: l’addio di Giovanni Perissinotto e l’arrivo di Mario Greco fa venir meno il principale referente dei soci veneti. E anche il veicolo Effeti va verso lo scioglimento. Nel frattempo, si scopre dalle carte dell’inchiesta Mose, la Palladio faceva anche consulenza per conto del consorzio Venezia Nuova.
In questa veste di «facilitatore», Meneguzzo combina l’incontro tra Mazzacurati e Marco Milanese, consigliere dell’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti. E tramite Milanese vengono sbloccati i fondi del Cipe per il Mose. Da qui parte un vertice di incontri, telefonate, appuntamenti e contatti ricostruiti minuziosamente dai pm, volti a far arrivare a Meneguzzo e Milanese - anche lui indagato - il compenso per il disturbo. In questo giro di contatti e di soldi che non bastano mai succede l’imprevisto: la verifica della Guardia di finanza al Consorzio Venezia Nuova.
Non c’è problema: è ancora Meneguzzo che si attiva, questa volta con il generale della Gdf Emilio Spaziante, che guarda caso lo stesso giorno della verifica, nel giugno 2010, parte da Roma alla volta di Venezia. A lui, arrestato ieri, sarebbero stati 2,5 milioni per il «disturbo». I soldi finiscono anche a Meneguzzo, secondo i Pm. In un’agenda di uno degli arrestati trovano l’appunto «Accordo Gdf 2 - a Meneguzzo 300 mila + 400 mila success fee». Che sarebbe il premio di risultato nel linguaggio delle grandi banche d’affari. Come una vera Mediobanca del Nord-Est.
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