RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Maria Novella De Luca per ''la Repubblica''
«Mi gridava: "muori, muori" il mio ex marito, mentre mi incendiava con la benzina. Ero impazzita dal dolore, il fuoco mi mangiava la carne, ma dentro di me c' era una voce che urlava: non muoio, no, vado dai miei figli. Correvo con le fiamme addosso, c' era una pozzanghera, ricordo di aver messo la faccia in quell' acqua sporca cercando di spegnere le ustioni che mi laceravano, correvo con la volontà disperata di restare viva». Maria Antonietta Rositani parla con voce affaticata dal suo letto nel reparto di chirurgia generale agli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria.
Infermiera, quarantadue anni, due figli, Anny e William, un matrimonio lungo vent' anni fatto di sevizie quotidiane, l' ex marito, Ciro Russo, che evade dai domiciliari, la bracca, le dà fuoco, Antonietta è una vittima "viva" di femminicidio. Sopravvissuta a una giustizia sorda che aveva "dimenticato" le sue denunce, sopravvissuta a oltre quattrocento giorni di ospedale e a cento interventi chirurgici, Antonietta oggi dice di essere diventata un fantasma per lo stato italiano.
Un fantasma, perché?
«Se fossi morta i miei figli di 19 e 10 anni sarebbero "orfani speciali" e avrebbero diritto almeno a un fondo per studiare. Sono sopravvissuta, per fortuna, ma per noi, morte a metà, questa è la beffa, non esistono né aiuti né sostegni. Sarò disabile a vita, non potrò più lavorare. Ma se oggi oltre il 50 per cento del mio corpo è coperto di ustioni è perché nessuno ha fermato il mio ex marito".
Chi poteva fermarlo?
«Le forze dell' ordine. Ciro Russo era agli arresti domiciliari a casa dei suoi genitori a Ercolano. Il 12 marzo del 2019 è evaso. Ha preso la macchina e si è messo in viaggio per Reggio Calabria. Suo padre ha denunciato l' evasione. Ma i carabinieri di Ercolano non hanno mai avvertito i carabinieri di Reggio. E nessuno ha avvertito me. Perché? Mi sarei salvata».
Racconti.
«Avevo accompagnato a scuola i ragazzi. La sua auto ha speronato la mia. Sono scesa, cercando di fuggire, mi ha raggiunta, mi ha cosparsa di benzina e mi ha dato fuoco, gridandomi: muori. Poi è scappato. Il giorno dopo era nel centro di Reggio a mangiare una pizza, spavaldo».
Un passo indietro Antonietta. Com' è cominciata?
«Per anni, come molte donne che scambiano la violenza per amore, ho sopportato ogni tipo di sopruso. Ci eravamo sposati da giovanissimi, ma lui era un uomo arrabbiato con il mondo. Tossicodipendente, ho scoperto poi. Mi pedinava, mi sequestrava il telefono, venivo picchiata, insultata, mi sbatteva la testa contro il muro, poi sputi, pugni».
Un calvario. Un giorno però lei reagisce.
«Quando ha alzato le mani contro Anny e ho visto la sua faccia piena di sangue ho trovato la forza di denunciare. Era il 19 dicembre del 2017. Tutto inutile. Ricordo le parole del carabiniere: "Signora, cosa vuole che sia uno schiaffo?"».
E la denuncia?
«Sepolta nel cassetto di quella caserma, come scoprì in seguito mio padre. Non mi avevano creduta. Intanto lui diventava un carnefice sempre più spietato».
Fino al 4 gennaio del 2018.
«La polizia mi trovò accasciata a terra. Non so più quante volte aveva sbattuto la mia testa contro il muro. Finalmente l' hanno portato in carcere. Ma nessuno mi ha avvertito, poi, del trasferimento ai domiciliari. Ci ha chiamato lui. Iniziando di nuovo a perseguitarci».
Quanto è dura la battaglia per tornare vivere?
«Sono in ospedale dal 12 marzo del 2019. Ho fatto trapianti, innesti di pelle. Il mio corpo è bruciato ovunque. A volte il dolore è insopportabile, ma i medici sono meravigliosi. Sto imparando di nuovo a camminare. Voglio giustizia. Tra poche settimane ci sarà la sentenza contro il mio ex marito. E lo Stato che ha armato la sua mano lasciandolo evadere, adesso deve aiutare la mia famiglia».
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