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Rosalba Emiliozzi e Alessia Marani per il Messaggero- Roma
Papà Alessandro si dispera, è convinto: «Valerio non si sarebbe mai tolto la vita, non c’era motivo e non mi avrebbe mai dato un dolore così grande. Deve essere stato un incidente oppure qualcuno lo ha spinto sotto il treno, altrimenti perché l’avrebbero ritrovato con le mani mozzate? Poi dicono che fosse nudo». In questa villetta a due piani sulla collina sopra la stazione di Labico, 6mila anime della Città metropolitana, i genitori di Valerio Frijia, 15 anni, e il fratello Emanuele, 18,non si danno pace.
Manca ancora la conferma ufficiale dal Dna, ma la scarpa da ginnastica bianca ritrovata dalla Scientifica accanto al cadavere in brandelli lungo i binari, così come la scocca del telefonino, un Honor 7, «erano i suoi». «Valerio deve essere uscito di casa intorno alle 23 di venerdì - continua il papà, funzionario amministrativo alla facoltà di Scienze Politiche de La Sapienza - l’ho sentito uscire dalla stanza ma pensavo che fosse solo sceso a mangiare perché non aveva cenato, poi il giorno dopo quando ci siamo accorti della scomparsa, i carabinieri ci hanno detto che alle 24,30 un uomo era stato investito dall’intercity. Non può essere che lui, io stesso ho trovato la scocca del suo telefono e per domani mattina (oggi, ndr) siamo stati convocati dalla Polfer di Colleferro».
DNA E CELLE TELEFONICHE Valerio studiava al liceo linguistico Machiavelli di piazza Indipendenza, a Roma. La sua famiglia da Cinecittà si era trasferita nel piccolo centro sulla Casilina nel ‘98. Mamma Emiliana lavora per il Ministero dell’Interno a Castro Pretorio, il papà si occupa di Erasmus. «Spesso prendevamo il treno insieme la mattina, siamo molto uniti», dice la madre. Venerdì, però, c’è stata quella che il padre chiama «una incomprensione»: la mamma scopre che Valerio ha iniziato a fumare, sigarette, forse anche altro. C’è una discussione, Valerio si chiude in camera. Poi dopo le 23 si allontana. I genitori sono convinti che sia incasa, invece il ragazzo imbocca il discesone, attraversa la Casilina ed entra in stazione. Uno di quegli scali di paese incustoditi, senza le telecamere. «Che ci è andato a fare? Aveva un appuntamento con qualcuno? - si chiede la madre - Valerio aveva tutto, il 21 doveva andare a un concerto, stava organizzando un viaggio a Dublino, aveva tanti interessi, ultimamente si era appassionato alla politica, con Casapound, anche se io non ero d’accordo ma ne parlavamo».
Alle22.30di venerdì due amici erano andati a cercarlo per uscire. «Ma li ho mandati via perché mio figlio era in camera sua - dice ancora il papà - la mattina dopo li ho chiamati, mi hanno detto che non si erano più visti». Nella cameretta i genitori trovano il tablet e il pc con ancora aperti Messenger, Instagram e l’email. Alle 18.21 chattando con un’amica Valerio le aveva scritto: «Ho pure litigato con i miei». «Perché?», domanda lei. «Perché mi hanno sgamato e io gli ho sbroccato». Alle 23.06, sempre alla stessa ragazza, invia un altro messaggio con la foto di 4 canne già rollate.
«Almeno ho loro», «ho appena iniziato la serata», scrive. Gli amici raccontano: «Su Instagram ha lanciato una storia di quelle che si cancellano in 24 ore; “E’ stato bello, alla prossima”, diceva». Chi c’era con Valerio? Era confuso, è scivolato o ha voluto farla finita? Perché le mani erano tagliate di netto? Erano legate? Qualcuno lo ha spinto in un gioco assurdo? Risposte che, in parte, chiarirà l’autopsia, in parte l’esame della sim rinvenuta nel cellulare. L’analisi delle celle telefoniche agganciate all’area della stazione potrà dire, invece, se con Valerio c’era qualcun altro.
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