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IL MISTERO DEL BAMBINO CONCEPITO NEL CARCERE DI BOLOGNA – IL DETENUTO LUCA ZINDATO È DIVENTATO PADRE MENTRE È IN CELLA PER SCONTARE LA PENA PER UNA SERIE DI RAPINE. LA SUA COMPAGNA HELENA HA PARTORITO UN MASCHIETTO. MA PER L’AMMINISTRAZIONE CARCERARIA NON È POSSIBILE CHE IL PADRE SIA LUI PERCHÉ NON POTEVA AVERE COLLOQUI INTIMI CON LA COMPAGNA – IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA NON HA AUTORIZZATO ZINDATO AD ASSISTERE AL PARTO – MA LA DONNA RACCONTA: “È SUCCESSO IN UN MOMENTO IN CUI NON C’ERA LA SORVEGLIANZA…”
Estratto dell’articolo di Alessandro D’Amato per www.open.online
Luca Zindato e la compagna Helena
Helena è la compagna di Luca Zindato, detenuto nel carcere della Dozza a Bologna per una serie di rapine. Uscirà nel 2039. Ma intanto è diventato padre. Anche se secondo l’amministrazione carceraria non è possibile. Intanto il magistrato di sorveglianza non ha autorizzato Zindato ad assistere al parto perché «il carcere ha dichiarato che non potevamo avere colloqui intimi. Quindi era impossibile che fosse figlio suo». La storia la racconta oggi l’edizione bolognese di Repubblica.
Spiega Helena: «Durante la gravidanza il mio compagno ha informato le autorità del carcere e anche l’educatrice che lo segue di quanto era avvenuto. Nessuno ha mai detto nulla. Poi però è stata messa in dubbio la sua paternità e il magistrato ha deciso di non farlo venire alla nascita, avvenuta il 2 marzo. Una cosa che non si nega nemmeno ai detenuti al 41 bis. Il rigetto, tra l’altro, ci è stato notificato dopo che mio figlio è venuto al mondo».
Anche il riconoscimento del bambino è stato un problema: «L’iter è stato estenuante. Il magistrato infatti ha respinto anche la richiesta di far venire il mio compagno in ospedale per vedere suo figlio e riconoscerlo, dicendo che poteva farlo in carcere entro dieci giorni dalla nascita. Alla fine ho dovuto firmare in Comune un atto di consenso al riconoscimento paterno e finalmente, il 12 marzo, l’ufficiale dell’anagrafe è andato in carcere per fargli firmare i documenti.
Il mio compagno sta pagando per quello che ha fatto, ma era un suo diritto veder nascere il figlio. Tutto questo non sarebbe successo se fosse rispettato il diritto ad avere colloqui affettivi in carcere, come stabilito anche da una sentenza della Cassazione lo scorso anno».
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