DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
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Estratto dell’articolo di S. G. per www.ilmessaggero.it
«Sono felice di stare a Roma e voglio stare qui». Recitava più o meno così il messaggio mandato mercoledì notte alla mamma dal 21enne americano trovato morto nella tarda mattina di giovedì scorso nel bagno della sua camera, nella Casa Bonus Pastor, pensione aperta al pubblico in territorio Vaticano con sede in via Aurelia, dove il ragazzo alloggiava insieme ad altri due ragazzi, per frequentare un corso di aggiornamento e prendere anche parte a un progetto di studio.
E proprio la mamma e la sorella adesso non credono possa essersi ucciso. Così si sono rivolte all’avvocato Federico Olivo, per seguire l’inchiesta aperta d’ufficio dalla procura di Roma, ancora prima che i familiari, volati a Roma dagli Usa, presentassero una denuncia illustrando i profondi dubbi che li tormentano. A coordinare le indagini per istigazione al suicidio, delegate alla polizia che collabora con la gendarmeria vaticana, è il pm Fabio Santoni.
Ieri al Policlinico Gemelli è stata eseguita l’autopsia sul corpo del ventunenne. Il ragazzo si sarebbe impiccato allo sciacquone del bagno dopo essersi chiuso a chiave. Uno dei due giovani, che divideva con lui l’appartamento, ha riferito agli inquirenti che la sera prima l’amico aveva tentato un approccio omosessuale e che ne sarebbe nata una discussione. Anzi una lite. Tanto che lui e l’altro coinquilino avevano deciso di trascorrere la notte fuori e di non dormire nell’alloggio condiviso.
Sarebbero tornati la mattina di giovedì, dopo le 8, per riprendere le loro cose e andare a fare colazione. «Lui dormiva nel suo letto», hanno sostenuto i due ragazzi. E invece tre ore dopo il giovane era morto. È stato un insegnante a trovare il corpo. Dal momento che lo studente americano non si era presentato a lezione, il professore era andato a verificare dove fosse finito.
Accompagnato dal gestore della pensione era entrato nella stanza. Ma non era stato possibile aprire la porta del bagno: era chiusa a chiave. L’acqua scorreva sotto la soglia, perché il tubo intorno al quale era stretto il caricabatterie del telefonino, utilizzato dal ventunenne per impiccarsi si era rotto. […]
«Si è tolto la vita impiccandosi con il cavo del caricabatterie del computer ma pesava quasi 100 chili», fa notare l’avvocato Olivo. Il sospetto è che proprio il suo peso abbia fatto cadere lo sciacquone e lo abbia fatto crollare sul pavimento, dove è stato trovato. Anche il wc era rotto, ma i piedi dello studente toccavano praticamente il suolo, bisognerà verificare, se sia accaduto a causa della rottura del peso e della successiva rottura del tubo.
I soccorsi sono stati inutili. Intanto i compagni di stanza, anche loro americani, hanno lasciato l’Italia dopo essere stati interrogati come persone informate sui fatti. L’ipotesi che abbia deciso di farla finita dopo la lite con i compagni è esclusa dai familiari, sia per il tenore del messaggio mandato nella notte di mercoledì, sia perché la decisione dovuta alla vergogna, è maturata solo il giorno successivo e non nella notte, dopo la lite. […]
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