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Irene Soave per il “Corriere della Sera”
Passata la stagione in cui quasi ogni star di Hollywood rilevava una vigna in Chianti o in Napa Valley o in Rioja, è il momento della tequila delle star. Una moda redditizia, che ha però pesanti ricadute sull'ambiente: i cinque stati messicani dove da protocollo deve crescere l'agave per poter chiamare il liquore «tequila» lamentano che la coltivazione d'agave sempre più intensiva causi penurie d'acqua, deforestazione e impoverimento.
Il primo a fondare il suo brand di liquore d'agave - «Casamigos» - era stato George Clooney nel 2013, con l'amico Rande Gerber, marito di Cindy Crawford; lo hanno imitato negli anni Rita Ora, che produce dal 2019 la tequila «Prospero»; Michael Jordan, che ha creato «Cincoro»; Kendall Jenner con «818» (prefisso californiano, ma l'agave è messicana); Arnold Schwarzenegger con la «Lobos 1707»; l'ex star del wrestling Dwayne Johnson cioè «The Rock» (Teremana). Tutte le etichette parlano di «produzione artigianale» o «distillazione sostenibile».
Ma il volume d'affari sembra indicare il contrario. L'anno scorso il Messico ha prodotto 273 milioni di litri di tequila, otto volte la produzione di vent' anni fa, per un giro d'affari di 11 miliardi di dollari: tantissimo per un territorio, quello in cui da regolamento deve crescere l'agave per poter parlare di «tequila», di appena cinque Stati messicani. Solo in Guanajuato, Jalisco, Michoacan, Nayarit e Tamaulipas, e solo tra i mille e i duemila metri d'altitudine, cresce l'«agave blu» o «agave tequilana» necessaria per il liquore.
Non solo, ma la polpa della pianta deve maturare almeno sette anni prima di essere utilizzabile. Una coltivazione tutt' altro che a basso impatto: per produrre un litro di tequila servono almeno dieci litri d'acqua, e le scorie acide contaminano i terreni. Soprattutto per coltivare l'agave blu è necessario distruggere migliaia di ettari di foresta: il solo stato del Jalisco, che è quello che più ne produce, lamenta una deforestazione di 16 mila ettari all'anno.
E se prima la succulenta costava pochi centesimi ora le sue foglie arrivano a valere 22 dollari al chilo. Una bottiglia di «celebrity tequila», del resto, costa dai 50 dollari della 818 di Kendall Jenner ai 72 euro della Prospero, fino al centinaio di dollari per la Cincoro di Michael Jordan. Come le sorelle Kardashian insegnano non c'è modo più rapido di accumulare soldi, per una star, che lanciare la propria linea di prodotti; la stessa Rihanna, di fama pur planetaria, è entrata ora nella lista delle miliardarie di Forbes grazie ai rossetti della sua linea Fenty.
«Ma non credo che per loro fare tequila sia un fatto di soldi», scrive ad esempio un'esperta, Caitlin Johnson, di Oaxaca, sulla bacheca (infiammata) del gruppo Mezcalistas. «Ne hanno già. È più un fatto di status, di fascino. Acquistato a spese di una cultura che non è la loro. Non conosco un solo mezcalero che si sia arricchito con questa improvvisa moda della tequila, molti produttori continuano a non guadagnare più di ottomila dollari l'anno».
Lo spettro della «cultural appropriation», peccato capitale in quest' epoca, rischia così di ritorcersi contro i mezcaleros di Hollywood e i loro marchi. George Clooney lo ha capito prima di tutti, e dopo cinque anni dalla fondazione ha venduto il marchio Casamigos alla multinazionale Diageo per un miliardo di dollari.
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