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Barbara Gerosa per il “Corriere della Sera”
«Scendo ad aiutare un'amica. È con i figli piccoli e la salita è impegnativa. Ci vediamo dopo». Le ultime parole prima di lasciare il rifugio Brioschi, 2.403 metri di quota sulla Grigna Settentrionale, la più nota delle cime lecchesi. Ma in vetta non è più tornato.
È precipitato mentre stava affrontando la ferrata al Sasso dei Carbonari insieme alla donna, ai ragazzini e a una famiglia impegnata nell'ascensione con lui. Li ha raggiunti perché temeva potessero trovarsi in difficoltà.
Claudio Ghezzi, 69enne di Missaglia, il «re della Grigna», come lo chiamavano tutti, è morto sulla sua montagna. La cima che aveva scalato quasi seimila volte, detenendo il record assoluto di salite sul Grignone.
La tragedia si è consumata ieri all'ora di pranzo. L'alpinista era arrivato in vetta alcune ore prima, come era solito fare quasi tutti i giorni. Poi la telefonata dell'amica che stava arrivando dal rifugio Bietti e doveva affrontare un tratto attrezzato con le catene. E allora lui, ancora una volta, si è messo in marcia. È sceso per andarle incontro e poi risalire.
In un punto particolarmente esposto, la scivolata che non gli ha lasciato scampo: è precipitato per una ventina di metri dopo aver appoggiato il piede su una roccia instabile.
La caduta terminata su una sorta di terrazzamento naturale, l'impatto devastante con il suolo.
In volo da Como si è alzato l'elicottero di Areu e squadre del Soccorso Alpino sono partite da terra. Ma i medici non hanno potuto far altro che constatare il decesso, mentre la donna e le persone che si trovavano sulla ferrata sono state accompagnate a valle.
La notizia della tragedia si è diffusa rapidamente: centinaia i messaggi di cordoglio sui social. Ghezzi per 40 anni è stato uno dei principali protagonisti del mondo della montagna lecchese: tra pochi giorni avrebbe toccato il traguardo delle seimila ascensioni sulla Grigna Settentrionale.
Lo scorso anno aveva messo a segno l'ennesima impresa. Era partito a piedi dalla sua abitazione di Missaglia per raggiungere la vetta: 85 chilometri di strada e 5.000 metri di dislivello, tra andata e ritorno, in sette ore.
Perché amava la Grigna che pure gli aveva portato via uno dei suoi più cari amici (l'alpinista Giacomo Scaccabarozzi, morto in parapendio nel 1998) e ogni ascensione la dedicava a lui, come aveva confidato ai compagni. Fisico asciutto e carattere d'acciaio, arrampicava con la velocità di un ragazzino nonostante l'età.
Già nel 2019 aveva salvato un 29enne rimasto bloccato sul Grignone senza ramponi: era stato lui a lanciare l'allarme guidando i soccorsi.
Un alpinista completo: la prima esperienza internazionale nel 1991 con una spedizione in Bolivia. Poi otto volte in Nepal. E ancora in Pakistan, Cina, Tibet, Perù, Cile.
«Credo che ci renderemo davvero conto che non c'è più solo domani quando non lo vedremo arrivare con lo zaino sulle spalle e il sorriso in volto - scuote la testa Alex Torricini, gestore del rifugio Brioschi in vetta al Grignone -.
Aveva le chiavi del rifugio e stavamo preparando la festa per i suoi 70 anni: li avrebbe compiuto il 4 luglio. Quando ci siamo accorti che non tornava e abbiamo visto l'elicottero abbiamo capito che doveva essere accaduto qualcosa di terribile».
«Non mi sorprende che sia precipitato mentre stava aiutando qualcuno. Lui era così: altruista, generoso, preparato», dice il fotografo Alberto Locatelli, che tante volte in passato aveva immortalato le sue imprese. «La Grigna è la mia seconda casa», ripeteva spesso agli amici Claudio Ghezzi. Un amore a cui è rimasto fedele fino alla fine.
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