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Marta Serafini per “il Corriere della Sera”
«I bambini di notte hanno incubi, fanno fatica a dormire. I loro traumi sono gravissimi». Alda Cappelletti, responsabile di Intersos, ong italiana presente in Iraq, ha appena finito una giornata in cui non si è fermata nemmeno per un istante. Diverse missioni alle spalle, tra cui l'Afghanistan e il Sudan, da luglio è tornata in Iraq. E ora con tre team mobili composti da medici, infermieri, ginecologhe e psicologi, si muove sulla linea del fronte di Qayyara, sessanta chilometri a sud est di Mosul, il bastione dell'Isis assediato dalle forze di Bagdad.
Da quando i soldati iracheni hanno iniziato l'offensiva per liberare la città caduta sotto il controllo di Al Baghdadi due anni fa, il flusso di rifugiati non si è mai fermato. Manca tutto: acqua, cibo, medicine. Ma anche coperte e stufe, ora che la temperatura inizia a scendere. «Questa è una landa desolata, ricoperta di polvere. Ma soprattutto di fumo».
La nuvola nera dei pozzi petroliferi dati alle fiamme dall' Isis per vendetta non smette di aleggiare sulla piana di Ninive. «Entra nei polmoni, si appiccica agli occhi e rende difficoltosa la respirazione», spiega al Corriere Cappelletti. Il risultato è che i bambini giocano in mezzo al fumo, mentre l' aria nera densa e velenosa nasconde la luce del sole.
Molti di loro sono fuggiti in auto, insieme alle famiglie, altri sono arrivati da soli, a piedi. «Il prezzo per la salvezza è salito in questi giorni: i trafficanti hanno alzato la cifra perché sfuggire ai cecchini è sempre più difficile». Chi arriva non vede un medico da almeno due anni. «Mosul è una città moderna con diversi ospedali, ma i miliziani li stanno usando solo per i loro combattenti», continua Cappelletti.
Da quando l' esercito iracheno è riuscito a sfondare le linee jihadiste venti giorni fa, il flusso degli sfollati dalla città e dai villaggi circostanti è salito. Chi è riuscito a sopravvivere e a superare i check point jihadisti si rifugia nei campi profughi allestiti a tempo di record dalle Nazioni Unite. «Abbiamo toccato quota 60 mila in queste ore. Ma ce ne aspettiamo almeno 200 mila», dicono da Ginevra.
La battaglia di Mosul è lunga. Nessuno pensava il contrario. Solo che ora, mentre lo scontro si sposta nei tunnel scavati dai miliziani, diventa chiaro come i combattimenti andranno avanti per mesi, proprio come successo a Sirte, in Libia. La maggior parte degli sfollati nel frattempo si stabilisce nei villaggi, solo una minoranza arriva nei campi, quasi nessuno senza i documenti che sono andati persi nel viaggio o sono stati sequestrati da Isis.
«Il nostro obiettivo è raggiungerli tutti e identificare i più vulnerabili», sottolinea Giovanni Visone, responsabile comunicazione di Intersos. Qualcuno trova anche la forza di raccontare. «Un padre ci ha spiegato di essere riuscito a scappare solo dopo che l' esercito iracheno aveva lanciato delle granate per coprire la fuga dei civili».
Il problema più grosso per chi tenta di mettersi in salvo sono le mine. Quegli stessi maledetti ordigni che rallentano l' avanzata dei cinque fronti dell' esercito iracheno. E che impediscono il ritorno dei civili nei villaggi. «Qualcuno è già ripartito», spiegano gli operatori. Ma è chiaro come l' emergenza sia solo all' inizio.
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