RIUSCIRÀ MATTEO SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE…
Maddalena Berbenni per corriere.it - Estratti
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Nato a Milano da una famiglia originaria del Mali, disoccupato e con un precedente di polizia per maltrattamenti nei confronti della madre e della sorella, Sangare, 30 anni, risponde dell’omicidio, aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi, di Sharon Verzeni.
Lo ha confessato, in venti pagine di verbale piene di dettagli atroci. Come la descrizione della scena cruciale, quando, nella sua folle ronda in bicicletta, si imbatte nella 33enne e decide che è lei la vittima prescelta: «Ho visto questa ragazza guardare le stelle e ascoltare la musica con le cuffiette, sono arrivato alla piazza e sono tornato indietro».
Quando ha raggiunto Sharon, circa 200 metri più avanti, all’altezza del 32 di via Castegnate, le ha sussurrato alle spalle: «Scusa per quello che sta per succedere». Poi, l’ha afferrata a una spalla e l’ha colpita al petto da dietro, mirando al cuore, ammette. Sentendo la lama rimbalzare forse contro una costola, con Sharon che ha tentato di reagire e liberarsi, ha sferrato le altre tre pugnalate, questa volta alla schiena. Letali.
omicidio sharon verzeni - terno d isola
La domanda di Sharon al killer: «Perché?» «Perché? Perché? Perché?», riferisce di essersi sentito domandare dalla ragazza, che poi ha avuto la lucidità di allertare i soccorsi con il suo telefonino: «Mi ha accoltellato», spiega senza riuscire a dire di più. La chiamata è delle 00.52, il 30 luglio. Sharon, dopo avere gridato «aiuto», udita dall’inquilina di un condominio, ha retto pochi passi ed è crollata. È morta prima dell’arrivo all’ospedale Papa Giovanni XXII.
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Le contraddizioni durante l'interrogatorio
La svolta è arrivata in 24 ore, mercoledì, quando, una volta rintracciato anche grazie a due testimoni, Sangare è stato convocato in via delle Valli e ha cominciato a traballare, a contraddirsi praticamente su tutto. «Quando hai tagliato i capelli l’ultima volta?», hanno voluto sapere gli investigatori. «Tre mesi fa», è stata la sua risposta inverosimile. Era evidente che si era rasato da poco, forse anche per cambiare look e rendersi meno riconoscibile.
Ha poi negato di essere stato a Terno d’Isola negli ultimi mesi. Ma, appunto, c’erano le telecamere. Nei filmati, non nitidissimi, i dettagli della bicicletta ripresa comunque combaciavano con le caratteristiche della sua, nonostante le modifiche fatte al manubrio e ai catarifrangenti dopo l’omicidio, gli inquirenti ritengono, come per il taglio dei capelli, con l’obiettivo di sviare le indagini. Ha cercato di sostenere che si trattasse di un altro uomo.
Ma alla fine, messo sempre più sotto pressione, ha confessato tutto e ha fatto ritrovare l’arma, un grosso coltello, in un’area verde a Medolago, vicino all’Adda. Nel fiume, poi, i sommozzatori hanno recuperato il sacchetto con i vestiti e le scarpe indossati quando ha ucciso, più altri tre coltelli, che aveva gettato con alcune pietre per fare in modo che il suo segreto si adagiasse sul fondale.
OMICIDIO DI SHARON VERZENI - LE TELECAMERE IN STRADA
Sangare parla perfettamente l’italiano, ma, forse anche in seguito a un periodo passato all’estero, nell’interrogatorio con il pm ha intercalato parole in inglese, in uno slang da rapper, lui che aveva anche tentato la strada del talent. La sera del delitto, dopo un passaggio con gli amici, è tornato a casa a prendere il coltello mosso da un «feeling», così si è espresso, una sensazione che ha sentito dentro di sé.
Vive a Suisio, in un appartamento trasformato in tugurio che è intestato a una nigeriana e lui ha occupato abusivamente dopo che a maggio la madre e la sorella lo hanno denunciato per maltrattamenti. E allontanato da casa. Anche allora c’era di mezzo un coltello, «solo» brandito per minacciare.
Nell’alloggio, dove manca l’acqua corrente, i carabinieri hanno anche trovato un fantoccio di cartone con disegnato uno smile in corrispondenza del viso. Lo aveva usato come bersaglio per lanciare coltelli in una sola occasione, sostiene. Finché poi, mosso da chissà quale demone, il gioco non è trasceso in tragedia.
Non ha riferito di altri episodi in cui si fosse aggirato per strada in cerca di persone da colpire. Forse la notte di Sharon è stata davvero la prima volta. E ancora gli inquirenti lanciano un appello ai due ragazzini contro cui Sangare sostiene di avere puntato il coltello prima di uccidere la 33enne. «Uno di loro — ha precisato — aveva la maglietta del Manchester».
MOUSSA SANGARE, I 30 GIORNI DA FANTASMA DEL KILLER DI SHARON VERZENI
Giuliana Ubbiali per corriere.it - Estratti
Moussa Sangare sparisce dalle telecamere pedalando come un razzo sulla sua bicicletta. L’ultima lo riprende all’1.05 a Chignolo d’Isola, mentre Sharon Verzeni è a terra, in via Castegnate a Terno d’Isola, accoltellata alle 0.50, e i soccorritori tentano l’impossibile. Salvarla. Lui scompare dai radar e trovarlo diventa fondamentale per le indagini, ma resta in zona.
A Suisio, dove è cresciuto e abita, si vede ancora in giro. Più la sera tardi che durante il giorno. I suoi sono 30 giorni da fantasma, fino al fermo alle 4 di venerdì. In via San Giuliano, aveva occupato l’appartamento al pianterreno nello stesso stabile in cui vivono la mamma e la sorella.
A maggio, l’hanno denunciato per maltrattamenti. Il vicino al primo piano dice di averlo incrociato cinque giorni fa: «Saranno state le 5.30 del mattino, stavo andando al lavoro, era qui fuori. Aveva gli occhiali da sole. Andava in giro e tornava sempre qua». Ayman Shokr, il titolare della pizzeria Le Piramidi in piazza, lo aveva visto di sfuggita due settimane fa: «Usciva dal bar».
A metà pomeriggio, nel locale un ragazzo si appoggia al bancone e chiede acqua e menta. Vestito sportivo, ha lasciato la bici fuori. «Moussa? È un amico, siamo cresciuti insieme tra oratorio, calcetto e centro estivo». Ultimamente l’ha perso di vista, ma sa che in questo mese i ragazzi più giovani l’hanno intercettato. «Mi lasci dire una cosa, però. Moussa aveva dei problemi, si sapeva, andava aiutato. C’è un generalizzato problema di salute mentale di cui non ci si occupa. Non è giusto che poi, quando succede il peggio, si parli di mostro».
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Lo ripetono da più parti, anche: «Una volta tornato, non era più lo stesso Moussa di un tempo. Ma non era pericoloso, non era violento. Ripeto, si vedeva che aveva dei problemi ma non avrei mai pensato potesse arrivare a fare del male a qualcuno». E la droga? «Sì, anche quella era un suo problema. Qui vanno a prenderla a Terno d’Isola». Non vuole giustificarlo, anzi. Vuole difenderne l’italianità: «Ho sentito in paese discorsi sull’origine e sulla cultura. Non voglio nemmeno dire che Moussa fosse integrato, perché non ce n’è bisogno. È più semplice, è nato a Milano e cresciuto qui».
Moussa Sangare in bicicletta ripreso dalle telecamere la notte dell omicidio di sharon verzeni
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