DAGOREPORT - PER RISOLVERE LA FACCENDA ALMASRI ERA SUFFICIENTE METTERE SUBITO IL SEGRETO DI STATO E…
Federico Rampini per “la Repubblica”
“Che ne diresti se ti vendessi una casa, ma tenendomi un mazzo di chiavi da usare a tua insaputa, per entrarci anche quando sarai diventato tu il proprietario? O per darle alla polizia, se me le chiede? Ti sentiresti sicuro? Ti sembrerebbe un trattamento corretto da parte mia, cioè del venditore? E poi, chi ti assicura che quel mazzo di chiavi da me custodito non finisca in mano a un ladro?».
fbi vuole accedere ad iphone della strage di san bernardino
La metafora immobiliare la sta usando con me un ingegnere di Apple. Vuole spiegarmi perché, dal suo punto di vista, è assurda la richiesta dell’Fbi e della magistratura americana, di “penetrare” dentro un iPhone.
La contesa tra la giustizia americana – cioè in ultima istanza l’Amministrazione Obama – e il colosso digitale della Silicon Valley, dominerà l’attenzione per molto tempo. Spacca l’opinione pubblica, i media e il mondo politico. Tutto ha origine perché l’Fbi vuole il contenuto di un iPhone usato dai due terroristi che fecero strage a San Bernardino, California: 14 morti il 2 dicembre scorso.
terroristi san bernardino fbi apple
Il chief executive di Apple, Tim Cook, ha detto no alle richieste di Fbi e magistratura. Attirandosi un plauso quasi unanime dai media. E la condanna quasi altrettanto unanime dal mondo politico, capace di un’intesa bipartisan pur nel clima arroventato della campagna elettorale. Cook parla solo tramite i suoi legali, ha rifiutato richieste d’interviste da tutti i giornali e tv.
All’interno di Apple vige una segretezza totale, il quartier generale di Cupertino impone regole di comportamento implacabili. L’ingegnere che accetta di parlarmi, un’antica conoscenza per motivi familiari, lo fa a condizione che sia rispettato il suo anonimato. Non rivela segreti industriali; del suo lavoro parla pochissimo, ma si occupa proprio del software per gli iPhone. Mi spiega i ragionamenti che hanno spinto Cook e che lui descrive come ampiamente condivisi da tutti i collaboratori, e anche dalle altre aziende della Silicon Valley, nonché dalla maggioranza degli utenti.
sequestro di armi a san bernardino
Dunque, proseguiamo con la metafora dell’appartamento. «Ora ci chiedono di poter entrare nel tuo iPhone da una porta di servizio, una porta sul retro. Ma questa porta non esiste, andrebbe costruita ad hoc. Non c’è, o per meglio dire non c’è più un’entrata segreta con cui noi possiamo introdurci nel tuo iPhone a tua insaputa o contro la tua volontà». L’attuale livello di protezione della privacy è relativamente recente. Risale al settembre 2014 cioè al varo del sistema operativo iOS8, nell’era successiva alle rivelazioni di Edward Snowden, cioè lo scandalo detto Nsa-gate.
La “gola profonda”, il transfuga della National Security Agency, disvelò un livello di cooperazione insospettato fra le grandi aziende tecnologiche degli Usa e i servizi segreti. Ebbe un enorme impatto politico, nel mondo intero. E anche fra gli utenti americani. Per Apple esplose un problema di credibilità, di fiducia presso i clienti.
«Da allora – mi spiega l’ingegnere di Cupertino – il codice pin del tuo iPhone è diventato una barriera invalicabile. Io che sono un esperto di iOS8 non posso entrare nel tuo iPhone neanche se lo voglio. E dopo 10 tentativi sbagliati di comporre il pin, automaticamente il tuo iPhone cancella i dati perché si presume che sia finito in mano a un ladro. No, ti assicuro, una porta di servizio non esiste».
Prendo in parola il mio interlocutore e lo seguo nella metafora dell’appartamento. Gli obietto che in casa mia l’Fbi può entrarci eccome, con un mandato del giudice. All’occorrenza sfondando la porta. E nessuno giudica che questa sia una violazione delle libertà costituzionali. In nome della lotta al crimine e al terrorismo, abbiamo accettato regole e procedure che autorizzano una violazione del mio domicilio. Così come la magistratura può autorizzare l’intercettazione delle mie telefonate. La risposta dell’ingegnere di Cupertino:
«Quelle regole non si applicano all’iPhone. Ad altri sì. Per esempio l’intercettazione delle telefonate riguarda le telecom, che sono delle utility, dei servizi di pubblico interesse anche quando sono private. Le telecom sono regolate da leggi che non si applicano a noi Apple». Il mio amico ingegnere vota Bernie Sanders, non è un individualista- liberista a oltranza. Ma è convinto che la battaglia del suo capo Cook sia sacrosanta, in difesa di principi fondamentali della democrazia americana.
Il caso Apple-Fbi è già tracimato nella campagna elettorale, con l’appello di Trump a boicottare i prodotti Apple. La politicizzazione è inevitabile. La Silicon Valley, da sempre liberal su temi come l’ambiente e i matrimoni gay, è un serbatoio di voti e di finanziamenti elettorali per i democratici. Tanto che qualcuno si è stupito dello scontro Obama- Cook e ha perfino dubitato che l’Fbi e il Dipartimento di Giustizia non avessero la copertura della Casa Bianca (che invece gliel’ha data).
Cook è un personaggio inviso alla destra come pochi: dichiaratamente gay, militante anti-razzista, ha raccontato come la sua coscienza politica maturò nell’infanzia trascorsa tra i razzisti del Ku Klux Klan, in Alabama. I mass media lo stanno appoggiando contro Obama, compreso il progressista New York Times che si è schierato dalla parte di Apple.
Al Congresso invece democratici e repubblicani potrebbero unirsi e far passare una legge che renda obbligatoria la cooperazione chiesta dal giudice a Cook. Si potrebbe finire davanti alla Corte suprema, essa stessa oggetto di battaglia politica dopo la morte del giudice Scalia. Cook ha già mobilitato due grandi avvocati di sinistra, Ted Olson e Theodore Boutrous, protagonisti della battaglia per i matrimoni gay in California.
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