DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Conchita Sannino per “la Repubblica”
Un incontro riservatissimo, una manciata di chilometri da Viareggio. È l’autunno del 2008: la guerra dei casalesi contro lo Stato è in piena esplosione, ma lontana. I lutti di innocenti e il terrore seminato dai sicari, compresa la strage dei sette incolpevoli cittadini africani di Castel Volturno, non turbano i tramonti della Versilia.
E Stato e Antistato si incontrano, cercano un accordo. Da un lato c’è l’emissario di Antonio Iovine il Ninno, allora superboss latitante del gotha dei casalesi e oggi pentito eccellente; dall’altro lato, uno o due esponenti dei Servizi segreti italiani. Un pezzo di intelligence deviata, o incaricata dall’alto, avrebbe un patto da proporre: vuole la fine della primavera di sangue e l’arresto dello stragista, il capo militare Giuseppe Setola che si finge cieco ma laggiù, in tutto il casertano, gira con kalashnikov ed esplosivo.
Il Ninno invia un suo uomo, Maurizio Di Puorto, a offrire il prezzo del patto, le condizioni: la scarcerazione di sua moglie, l’intoccabile Enrichetta, finita in carcere per una storia di estorsione qualche mese prima, e una maggiore libertà di movimento sul territorio. Poco dopo, Iovine ne parlerà con un altro fedelissimo, Benedetto Cirillo. È la “trattativa” napoletana, fascicolo caldissimo nelle mani del pm Cesare Sirignano della Direzione distrettuale di Napoli.
Un’altra devastante pagina dell’antimafia rischia di essere ricostruita, stavolta ad opera dei magistrati che lavorano su Gomorra, a caccia di conferme e riscontri sugli elementi emersi — pur con qualche dissonanza — dai verbali di due camorristi e di Iovine. La trattativa, a quanto parrebbe, non si concretizzò, la moglie del Ninno scarcerata solo dopo tre anni. Ma forse per coincidenza ai primi del 2009 Setola fu catturato, a Cassino, proprio in casa di un cugino del superboss, Iovine come lui: Riccardo.
È un faccia a faccia tra due “invisibili”, l’immagine da cui parte questo clamoroso racconto. È il punto focale su cui lavora in silenzio da mesi l’ufficio guidato dal procuratore capo Giovanni Colangelo e dal suo aggiunto Giuseppe Borrelli. Interrogatori, verbali coperti da segreto, ieri una perquisizione della Mobile di Caserta coordinata dal pm Sirignano, nel paesino di Lusciano, scopre una parte del mosaico: gli inquirenti cercano un computer in cui potrebbe essere custodita la traccia di quel patto.
Cercano nella memoria una lettera che solo in una successiva fase, nel 2009, la primula rossa Iovine detta al fedelissimo, Cirillo, rinnovando le sue condizioni, con l’intento di farla arrivare ai Servizi. La “trattativa”, anni Duemila. Il pc è stato effettivamente sequestrato in casa della suocera di Cirillo, che ospitò il superboss.
A scatenare l’allarme di quei pezzi di intelligence, è un’intercettazione shock che Repubblica raccontò quasi in diretta, 7 novembre 2008. Una conversazione, captata il giorno prima in “ambientale”, accanto al camorrista Paolo Gargiulo detto Calimero. In due parlano dell’arrivo di «50 chili di tritolo…».
Dice uno, R2: «Sai che botta che fa». E l’altro, R1: «Mamma mia però 50 chili, se ne cade mezzo paese!». «Eh, speriamo che non ci va nessuno per sotto», dice l’uno. L’altro: «E come fa a non andarci nessuno per sotto?». E poi fanno riferimento a personaggi che vanno in cielo, a quello “piccolo piccolo”. Anche la Dda è in ascolto, preoccupata: si temono agguati a giudici, a Cantone, a Saviano. Intanto, stando alla tesi investigativa, qualcuno a nome dello Stato pensa di “provvedere” andando a trattare con Iovine.
Sei anni dopo, il primo a ripercorrere quei contatti è il padrino pentito, verbali secretati: ma lui assicura di non aver mai direttamente incontrato nessuno dei Servizi. Poi vengono sentiti i due camorristi, Di Puorto e Cirillo. Scattano verifiche incrociate.
Di Puorto, oggi detenuto, si era effettivamente sistemato a Viareggio già negli anni Novanta, dice di aver incontrato gli agenti segreti e avrebbe riferito la “proposta” a Iovine. Cirillo, oggi libero, aveva fatto da ombra al boss e ricorda le sue parole. Ma nessuno sa dire se la lettera inviata dai pozzi neri dell’Antistato sia mai arrivata, al cuore dello Stato.
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