carcere prigione

CERTEZZA DELLA PENA? DI CERTO NON ESISTE - NEL 2015 SONO STATE ARRESTATE 10.203 PERSONE CON L'ACCUSA DI RAPINA: LA METÀ DI QUESTE È GIÀ USCITA - A OGGI 3.573 PERSONE SONO STATE SCARCERATE PER PROSCIOGLIMENTO O DECORRENZA DEI TERMINI, CHE SIGNIFICA CHE ERANO SOTTOPOSTI A CUSTODIA CAUTELARE MA POICHÉ IL PROCESSO TARDAVA SONO STATI RIMESSI IN LIBERTÀ

Vai all'articolo precedente Vai all'articolo precedente
guarda la fotogallery

1 - UN ARRESTATO PER RAPINA SU DUE FUORI DALLA CELLA DOPO UN ANNO "MANCA LA CERTEZZA DELLA PENA"

Fabio Tonacci per “la Repubblica”

 

CARCERI ITALIANE     CARCERI ITALIANE

Alessia e Christian sono due rapinatori. Il 13 settembre scorso hanno drogato Valentino mescolando benzodiazepine alla sua bibita, gli hanno rubato il portafogli e il bancomat, lo hanno mandato all' ospedale. La polizia li ha beccati grazie alla telecamera della banca da cui hanno prelevato con la carta. Christian ha confessato subito, quindi i due hanno patteggiato la pena per il reato dell' articolo 628 del codice penale. La rapina, appunto. Quando non è aggravata, sono previsti da tre a dieci anni di prigione. Ma Alessia F. e Christian C. non hanno mai fatto un giorno di carcere.

 

Questa storia, piccola ma simbolica, arriva da Pescara e traduce in fatti quel sentimento sempre più diffuso in una parte dell'opinione pubblica che ritiene che in Italia non vi sia certezza della pena. Che ladri e rapinatori, cioè, non vengano perseguiti come si dovrebbe o evitino quasi sempre di pagare per i loro crimini. Ancora due giorni fa è stato il sindaco di Budrio Giulio Perini a rilanciare il tema, dopo l'omicidio del barista Davide Fabbri: «L'unica giustizia è quella della legge, occorre la certezza della pena».

 

CARCERI ITALIANE    CARCERI ITALIANE

L'argomento è assai complesso, e investe tutto il sistema della giustizia. A Pescara, per dire, i due rapinatori Alessia e Christian hanno potuto beneficiare degli effetti del decreto Svuotacarceri, che impedisce la custodia cautelare dietro le sbarre (salvo per reati più gravi) se si prevede che sarà inflitta una pena non superiore ai tre anni alla fine del processo.

 

Per Alessia, che ha fatto da esca e ha drogato la sua vittima, è bastato l' obbligo di dimora a Pescara per un anno. Poi con il patteggiamento, le attenuanti generiche, il peso della fedina penale fino ad allora pulita, la sospensione condizionale della pena, i due rapinatori hanno chiuso la questione senza scontare neanche un giorno.

 

CARCERI ITALIANECARCERI ITALIANE

Un caso limite, certo. Quasi sempre infatti, i responsabili di rapine e furti nelle abitazioni che vengono presi in flagranza o a seguito di un' indagine, in carcere ci finiscono. Il problema è che poi non ci rimangono quanto dovrebbero. Alcuni dati ufficiali, e inediti, del Dipartimento dell' amministrazione penitenziaria dimostrano infatti che il richiamo dei sindaci alla certezza della pena non è poi così campato in aria.

 

Nel 2015 nel nostro Paese sono state arrestate 10.203 persone con l'accusa di rapina: la metà di queste è già uscita. Ad oggi 3.573 sono state scarcerate per proscioglimento o decorrenza dei termini, che significa che gli indagati erano sottoposti a custodia cautelare per evitare che scappassero o ritornassero a rapinare, ma poiché il processo tardava ad arrivare, il magistrato li ha rimessi in libertà. Altri 1.741 detenuti, invece, non sono più in cella perché sono stati concessi loro i domiciliari o l' affidamento ai servizi sociali. Sommando le due cifre, fa il 50 per cento. Uno su due.

CARCERI ITALIANE CARCERI ITALIANE

 

La tendenza nel 2016 si conferma: su 10.139 arrestati per rapina, sono ancora in prigione in 6.120. Gli altri sono stati scarcerati (2.196) o sono fuori perché ai domiciliari oppure affidati ai servizi sociali (1.823). Un buon 40 per cento.

 

«Tanto lavoro per nulla, viene da dire», commenta Enzo Letizia, segretario dell' Associazione nazionale dei funzionari di polizia. «Sono dati sconcertanti. Oltretutto invece di aumentare i posti nelle nostre carceri, si sono scelte normative come lo Svuotacarceri che pur partendo da un principio corretto finiscono per andare in direzione opposta alla certezza della pena». Alcuni sociologi, come Marzo Barbagli, identificano l' origine del problema più «nella individuazione degli autori dei reati» che nelle disfunzioni dell' apparato giudiziario.

 

CARCERI ITALIANE   CARCERI ITALIANE

Nelle grandi città, le forze di polizia soffrono sistematicamente della riduzione di organici e risorse e quindi tendono a non dare priorità investigativa a piccoli furti e a rapine di poco conto, realizzate senza armi da fuoco: così si spiegano le impietose statistiche dell' Istat (le ultimi disponibili sono relative al 2015) che fissano al 4,6 per cento la percentuale media dei furti di cui si è scoperto il responsabile, e al 25,5 per cento quella delle rapine.

 

La stessa valutazione la fanno anche i pm, quando sono sommersi dai fascicoli di indagine.

«Si dà la precedenza alle denunce per violenza sessuale, stalking e minacce», racconta un magistrato che si occupa di reati predatori. «Questo perché in questi casi c' è una vita a rischio».

 

2 - IL PROCURATORE DI BOLOGNA AMATO: DIFFICILE TENERLI DENTRO IN ATTESA DEL PROCESSO

G.Bal. per “la Repubblica”

 

CARCERI ITALIANE  CARCERI ITALIANE

«I magistrati applicano le leggi fatte dal Parlamento. È dunque soprattutto una questione di scelte politiche. Non entro nel merito delle decisioni del legislatore, ma al netto di alcuni casi particolari che possono essere valutati in maniera più o meno diversa dai giudici, noi lavoriamo con le leggi che ci danno». È misurato il procuratore di Bologna Giuseppe Amato.

Spiega che le statistiche sui reati predatori sono incoraggianti, anche se poi alcuni casi di cronaca accendono l' allarme e la percezione di insicurezza cresce a dismisura, facendo tornare la voglia di difendersi armi in pugno.

 

Procuratore l' impressione è che tanti criminali escono di carcere troppo rapidamente.

«Guardi ci sono diversi ordini di problemi che non dipendono dalla magistratura: la prima questione è relativa alle fasi precedenti i processi, la seconda riguarda i tempi della giustizia e infine c' è la questione della "certezza della pena". Iniziamo dalla prima.

 

GIUSTIZIAGIUSTIZIA

«Per alcuni reati i termini di custodia cautelare in carcere sono brevi. Una legge del 2015 ha poi ridotto ulteriormente i margini di manovra sulle misure personali. È una scelta della politica che i magistrati sono tenuti ad applicare. È in questa fase che ci sono diverse scarcerazioni in attesa dei processi». Ecco parliamo dei processi che appaiono infiniti.

 

«È la questione delle questioni quella dei tempi processuali. A Bologna stiamo lavorando molto su questo. Tuttavia ci sono arretrati impressionanti e non è facile smaltire il pregresso. Sui tempi come magistrati ci giochiamo una partita fondamentale che, ovviamente, dobbiamo affrontare con le risorse di uomini e mezzi disponibili». C'è poi il tema della certezza della pena.

 

TRIBUNALE LEGGE UGUALE PER TUTTI TRIBUNALE LEGGE UGUALE PER TUTTI

«Anche questo è un argomento che dovrebbe essere affrontato dalla politica. Personalmente credo che il sistema italiano sia molto equilibrato. Nel nostro Paese, come è giusto che sia dal mio punto di vista, siamo molto attenti al reinserimento nella società delle persone che hanno commesso degli errori. Non possiamo non tenere conto degli esiti positivi che ne derivano. Come non possiamo pensare di risolvere il problema tenendo all' infinito le persone in carcere. Cosa che tra l' altro avrebbe costi umani ed economici insostenibili per il Paese».

 

Insomma, la soluzione non può essere quella di avere celle piene. «Io dico che esiste una misura che è culturale e di buon senso, che va preservata. Questo non significa essere comunque indulgenti intendiamoci, ma giusti». C'è chi vorrebbe ritoccare la legge sulla legittima difesa, lei cosa ne pensa?

 

«Guardi anche su questo credo che la norma in Italia sia molto equilibrata. La legge che consente la legittima difesa entro le proprie mura esiste da tempo e mi pare ben fatta. Una cosa è potersi difendere, altro è sparare ad un ladro mentre scappa. In quel caso, pur comprendendo la frustrazione di una vittima che vede violata la propria intimità domestica o la propria attività economica, io credo che non si possa autorizzare la vittima a trasformarsi in un carnefice. Ripeto, credo che la norma esistente sia equilibrata, non la cambierei».